Elezioni – La diaspora dell’ecologia

727
Tempo di lettura: 3 minuti

Cosa hanno detto alcuni ambientalisti storici. Forse ci vorrà ancora del tempo, ma è evidente che la strada è segnata e alla fine si ritroveranno politiche senza estremismi che opereranno sui fatti con l’aiuto della ricerca e, speriamo, non venduta. Sarà un bene? Una cosa è certa: rimarrà fuori la cultura profonda che ci fa umanità viva di questo pianeta

Gli ecologisti sono stati emarginati dalle varie liste e speriamo che non si appellino alle «quote verdi». Ora stanno facendo autocritica, il che è già positivo perché spesso, chi è convinto di avere sempre ragione, difficilmente la fa.
Vittorio Cogliati Dezza dice: «L’ambientalismo storico ha sempre avuto due soli atteggiamenti. O quello di fare la sentinella, in senso stretto senza alcuna strategia. Oppure di disegnare scenari di futuri disastrosi. E l’oggi dov’è? L’interlocuzione con l’imprenditoria, il sindacato, le istituzioni? È mancato tutto questo, fino ad oggi».
Carlo Ripa di Meana: «Gli ambientalisti nelle loro battaglie, dall’Ilva a Marghera, non hanno mai smesso di legarsi ideologicamente ad alcuni schemi antichi».
Angelo Bonelli sogna un grande partito dei Verdi che viva di «vita propria» e se la prende con i media che hanno oscurato l’informazione.
Lucido come sempre Edo Ronchi: «In Germania non si oppongono agli inceneritori come facciamo noi, in maniera ideologica».

Forse ci vorrà ancora del tempo, ma è evidente che la strada è segnata e alla fine si ritroveranno politiche senza estremismi che opereranno sui fatti con l’aiuto della ricerca e, speriamo, non venduta. Sarà un bene?
Non credo, perché vorrà dire che sarà rimasta fuori la cultura profonda che ci fa umanità viva di questo pianeta.
È un bene che un certo ecologismo muoia. Quello che rincorre poltrone e occupa spazi, che non fa crescere le differenze e che crea strutture elitarie. Che cosa vuol dire dialogare con imprenditoria, sindacato, istituzioni? Che cosa vuol dire fare un partito? Che cosa vuol dire essere boicottati dall’informazione? Quale deve essere il riferimento dell’ecologia? Da che cosa sono fatte le istituzioni e l’informazione? Sono entità astratte o sono il prodotto dell’uomo?
È l’uomo il riferimento, anzi meglio, la sua cultura profonda.
Tutto il resto sono strutture e sistemi legati al tempo e alle società.
Se un uomo è convinto del legame solidale che lo lega alla natura e agli altri uomini farà naturalmente certe scelte al posto di altre.
Se qualcuno pensa che da solo, perché è bravo, occupando una poltrona potrà avere città pulite, acque trasparenti e cervi che pascolano nei prati… è bene che non sia in nessuna lista.
La società civile, come al solito, è molto più matura di coloro che ci rappresentano. Certamente un ruolo ha avuto ed ha l’associazionismo, perché è parte della società, vive e cresce con gli uomini, c’è un’osmosi reale e costante insieme ad una comunità.
Perché quando c’è un problema reale c’è una grande mobilitazione spontanea, sorgono sigle nuove nate sul momento e si discute, si parla, ci si scontra e spesso si vince?
Questa è l’unica strada per modificare le cose: crescere culturalmente e credere che tutti possono dare il loro contributo, nessuna sigla ha l’imprimatur o la leadership.

Sì, il mondo sta andando a rotoli, i cambiamenti climatici galoppano, ora tocca all’Australia soffrire, questa estate toccherà a noi perché è prevista una stagione più calda di quella dell’anno scorso.
E intanto (dati Istat) tra il 2009 e il 2010 gli investimenti per la protezione dell’ambiente delle imprese industriali sono diminuiti del 7,2%.
Nel complesso, le imprese industriali realizzano prevalentemente investimenti atti a rimuovere l’inquinamento dopo che questo è stato prodotto, anziché integrare i propri impianti con tecnologie più «pulite», che contribuiscono a proteggere l’ambiente dagli effetti negativi del processo produttivo. Come dire, piccole Ilva crescono.
E passando alla distruzione dei viventi, mentre il civilissimo popolo giapponese che ha subito la bomba atomica e che ora vuole far risorge le centrali atomiche sicure, paga al mercato di Tokyo un singolo esemplare di tonno rosso a 1,7 milioni di dollari, i ricercatori americani lanciano l’allarme: negli ultimi 20 anni, nel Pacifico, gli stock sono crollati del 96,4% in seguito al sovrasfruttamento delle risorse ittiche messo in atto dall’industria della pesca. «Se si continuerà a depauperare gli stock ittici a questo ritmo – spiega il direttore scientifico dell’Enpa, Ilaria Ferri – nel giro di pochi anni potremo includere il tonno rosso tra le specie scomparse dalla faccia della terra a causa delle attività umane».

Che fare? Affastellare la burocrazia mondiale con altri trattati internazionali o far crescere una nuova cultura che metta fuori lista questi nostri governanti che nelle loro Agende (sì, come quella di Monti) nella ripetitività delle parole finanza, crescita, economia sono al primo posto e le parole ecologia, sviluppo, sostenibilità all’ultimo?