Cesio nei cinghiali della Valsesia

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Accertare la fonte dell’inquinamento e allargare i controlli. La Cia ricorda che, per i consumatori, al primo posto tra i rischi associati al cibo c’è proprio la contaminazione da sostanze tossiche e chimiche (19%). Bene il sistema di monitoraggio sulla filiera alimentare

Di fronte all’allarme «cinghiali radioattivi» scattato dopo la scoperta in 27 esemplari cacciati in Valsesia di tracce di cesio 137 superiori di dieci volte i limiti massimi tollerati in caso di incidente nucleare, bisogna agire immediatamente in due direzioni: capire al più presto la fonte della contaminazione, se sia effettivamente riconducibile al disastro di Chernobyl del 1986 o se possa essere legato in qualche modo all’influenza dei siti nucleari nei Paesi vicini come la Francia o alla presenza di rifiuti tossici, ed estendere i controlli agli altri animali selvatici che condividono gli stessi ambienti dei cinghiali.

Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori. La vicenda, che ancora una volta rischia di coinvolgere il settore agroalimentare, sottolinea la Cia, rende sempre più chiara l’importanza per l’intera filiera di un attento monitoraggio e di una rete efficiente di controlli.

«In attesa degli esiti della riunione all’Istituto zooprofilattico di Torino e dei risultati delle nuove analisi disposte – evidenzia la Cia – bisogna evitare però il diffondersi del panico nei consumatori. Tanto più che, tra i maggiori rischi per la salute associati al cibo, i cittadini mettono sul gradino più alto del podio proprio la contaminazione da sostanze tossiche e prodotti chimici (19 per cento), ancora prima dei pericoli legati ai batteri come salmonella e listeria (12 per cento) o alla presenza di additivi e coloranti (9 per cento), secondo una recente indagine Eurobarometro».