Gli eretici fra noi e il danno delle parziali verità

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Prendiamo il caso della previsione dei terremoti. In Italia i saggi dicono: no, non è possibile. All’estero dicono lo stesso ma contemporaneamente si ricerca. Risultato: noi produciamo ricercatori e idee che poi trovano risultati concreti all’estero, mentre la povera patria è sempre più preda delle «certezze», dalla scienza all’economia, dallo stato sociale alla prevenzione… con i miserabili risultati che sono sotto gli occhi di tutti

«Ogni concezione scientifica comincia come un’eresia», fa notare Aldous Huxley, e mai affermazione è stata più esatta di questa a giudicare dalle polemiche che spesso vengono sollevate da «depositari della verità» che sono quelli che difendono la cosiddetta scienza ufficiale.
La storia della ricerca è trapuntata da ricercatori emarginati e vessati perché tutti coloro che minacciano la «sicurezza» delle certezze raggiunte, diceva Georges Ungar, «possono essere attaccati con il fanatismo intollerante dell’inquisitore».
Eppure è proprio grazie a questi eretici che oggi possiamo parlare di scienza, basti pensare a casi conclamati come quelli di Galileo Galilei, Giovanni Copernico, Charles Darwin, infatti, ha sostenuto Karl Popper, «se dovessimo contare sulla imparzialità degli scienziati, la scienza, perfino la scienza naturale, sarebbe del tutto impossibile».

Ecco alcuni esempi. Molti degli scritti di Gregor Mendel, il monaco che diede inizio alla genetica, vennero cestinati senza essere letti; George Stephenson, inventore della macchina a vapore, fu considerato un «ciarlatano» o un «povero matto»; Louis Pasteur è accusato di aver adattato i dati dei suoi esperimenti per renderli più probanti.

Si potrebbe praticamente continuare all’infinito, fino ai nostri giorni, non perché il mondo dei ricercatori sia pieno di truffatori, come vorrebbero far credere alcune «vestali», ricercatori e giornalisti dei nostri giorni con licenza di scrivere, ma perché la ricerca è così. Altrimenti che ricerca sarebbe?
E sono proprio costoro, i «possessori della verità», che seminano incertezze.
Alla gente comune cosa resta? Diventano ondivaghi fra questa e quella realtà, fra quel giornale e l’altro, fra uno scienziato serio ed un altro meno serio. Risultato? Il livello zero di cultura, e vale per tutte le branche, che pervade il popolo italico, scettico per natura.
La colpa maggiore, quindi, non è del ricercatore che azzarda una teoria (che se falsa si annulla da sé) ma di coloro che seminano certezze.

Prendiamo il caso della previsione dei terremoti. In Italia i saggi dicono: no, non è possibile. All’estero dicono lo stesso ma contemporaneamente si ricerca. Risultato: noi produciamo ricercatori e idee che poi trovano risultati concreti all’estero, mentre la povera patria è sempre più preda delle «certezze», dalla scienza all’economia, dallo stato sociale alla prevenzione… con i miserabili risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Questi diffusori di verità tacciono quando si parla di cambiamenti climatici, che pure sono conclamati. Perché? Anzi sposano i cialtroni del dubbio (questi sì interessati alle multinazionali del petrolio e del consumo delle risorse del pianeta), perché?
Se lo chiedi direttamente loro si rifugiano nella comoda scienza e dicono: come si fa a prendere decisioni se non sappiamo se i cambiamenti climatici siano dovuti alle azioni dell’uomo o siano esterni a lui? E mentre centri studi e ricercatori (la maggioranza e la più qualificata) confermano che la colpa è dell’uomo loro si stringono nelle fortezze del potere per strappare anni di risorse economiche per sé.
E come mai all’estero non si procede in questo modo? Siamo gli unici difensori della verità rimasti sul pianeta?
Qui si va a fondo tutti, è il momento di dire basta ai venditori di certezze e certi direttori farebbero bene ad adattarsi a qualche scoop in meno e ad accettare un crescita di serietà in più. Perché altrimenti si chiamerebbero direttori responsabili?