«Ormai il concetto di Lista Rossa è noto non soltanto negli ambienti dell’università e della ricerca ma anche tra la popolazione. Le Liste Rosse delle specie minacciate rappresentano dei campanelli d’allarme per la protezione della natura e sono uno strumento efficace e raffinato per valutare la qualità degli habitat. Grazie all’apporto del mondo scientifico ogni specie viene collocata in una posizione appropriata in funzione della conservazione e Iucn ogni anno pubblica l’aggiornamento di queste graduatorie su scala mondiale.
Forse non tutti sanno che Federparchi, tra le sue molteplici funzioni, possiede anche quella del segretariato del Comitato italiano Iucn, luogo in cui si condividono e si scambiano informazioni ed esperienze riguardo alla gestione delle aree protette, agli ecosistemi e alle specie, nonché un importante motore per promuovere iniziative concrete per la ricerca, il monitoraggio ed attività mirate alla capacity building.
La Federparchi, in quanto espressione del sistema nazionale delle aree protette, ha un ruolo strategico nella gestione del Comitato perché è organizzata e gestita in un’ottica di sistema e gioca un ruolo importante nel processo positivo di tutela del territorio nel suo insieme.
E propri partendo da questo assunto, dall’imprescindibile presupposto che Federparchi può convogliare a sé il maggior numero possibile di conoscenze sulla biodiversità, e su indicazione del ministero dell’Ambiente, sono state avviate nel 2012 importanti iniziative tra cui la definizione delle Liste Rosse nazionali della fauna minacciata. Sì, perché una specie che non corre rischi di estinzione in senso complessivo può invece essere fortemente minacciata a livello regionale. Da qui il bisogno di una Lista Rossa italiana.
Lo dico spesso nei miei interventi: non tutte le specie sono uguali, bisogna fare distinzioni e soprattutto fondare certe scelte sulla scienza. Evidenziando il diverso grado di conservazione e di minaccia delle varie specie si forniscono fondamentali implicazioni per la gestione. È impensabile infatti utilizzare la stessa strategia per l’orso marsicano e per la volpe o il cinghiale; questo ormai è evidente anche ai non addetti ai lavori, ma con un elenco completo si possono correttamente orientare gli sforzi e i finanziamenti per la ricerca, il monitoraggio e le varie azioni secondo un grado di priorità.
C’è infatti una differenza abissale di valore conservazionistico tra le diverse specie. Anche nei riferimenti normativi. Porto spesso l’esempio di volpi e orsi in Italia. Ai sensi della legge nazionale 157/92 la volpe è una delle 57 specie cacciabili, l’orso invece è inserito non solo tra le specie non cacciabili, ma tra quelle particolarmente protette anche sul piano sanzionatorio. L’orso è inserito dalla direttiva UE 52/92 (Habitat) nell’allegato II tra le «specie animali d’interesse comunitario che richiedono la costituzione di zone speciali di conservazione» (oltretutto come specie prioritaria) e nell’allegato IV tra le «specie d’interesse comunitario che richiedono una protezione rigorosa». La volpe nella direttiva non è citata nemmeno nell’allegato V dove sono elencate le «specie d’interesse comunitario il cui prelievo nella natura e il cui sfruttamento potrebbero formare oggetto di misure di gestione». Dal punto di vista della consistenza numerica è addirittura impossibile stabilire quale può essere quella delle volpi in Italia, visto che, come affermano Luigi Boitani e Paolo Ciucci nella fauna d’Italia (mammalia III) «…il suo areale di distribuzione appare oggi pressoché continuo in tutto il territorio nazionale».
L’orso marsicano invece è stimato in una cinquantina di individui (forse meno) presenti essenzialmente nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, tenacemente difesi dal Parco sin dalla sua istituzione del 1922, con pochi mezzi e nell’indifferenza generale, se non nell’ostilità di altri soggetti. Ecco perché c’è bisogno delle Liste Rosse italiane, che andranno a certificare, una volta di più, in modo scientifico, certe differenze».