Un sorriso può guarire o no: certamente aiuta a vivere meglio in ogni attimo. Il momento della malattia richiede però sensibilità e sforzi particolari, impone intelligenza ed originalità, ci interroga sulle strade migliori da seguire per esser davvero vicini a chi sta male. Un buon medico o un valente chirurgo sono indispensabili
Certamente un sorriso non potrà mai guarire le malattie, non tutte almeno. Ma potrà certamente stimolare a reagire, a produrre le energie che servono per affrontare la battaglia contro ciò che ci ammala, a guardare con occhi diversi al senso stesso dell’assenza (momentanea o persistente) dello stato di benessere. Ed anche di più: l’idea che una risata possa avere la stessa valenza di un antidolorifico quasi producendo un effetto simile ad un anestetico riducendo l’effetto del dolore sull’organismo e che un atto medico possa avvalersi in modo fondamentale della «terapia del buonumore» è cosa ben risaputa ancorché troppo spesso dimenticata da medici, famigliari di pazienti e qualche volta anche dagli stessi malati.
È così che l’idea di affiancare (e non sostituire, si badi bene) alle terapie mediche tradizionali e consuete un approccio basato sulla volontà di produrre momenti di leggerezza e di sorrisi si è fatta via via spazio all’interno della comunità scientifica internazionale e sta trovando sempre più appassionati sostenitori e cultori in tutto il mondo (Italia compresa).
Tutti ci siamo appassionati e commossi alle tenere espressioni ed ai sorrisi dolci di Patch Adams (il medico Hunter Adams: ma non solo medico bensì anche attivista civile, diplomatico e scrittore) portati sullo schermo da uno straordinario Robin Williams, il quale dopo aver fondato una vera e propria disciplina scientifica col nome di clownterapia ha creato nel West Virginia il «Gesundheit! Institute» (la parola gesundheit in tedesco vuol dire salute ed augurare Gesundheit! quando ad esempio una persona starnutisce significa in sostanza augurargli buona salute).
L’idea che sta alla base delle attività di clown terapia è proprio quella secondo cui «l’humour è l’antidoto per tutti i mali. Credo che il divertimento sia importante quanto l’amore. Alla fine, quando si chiede alla gente che cosa piaccia loro della vita, quello che conta è il divertimento che provano, che si tratti di corse di automobili, di ballare, di giardinaggio, di golf, di scrivere libri. La vita è un tale miracolo ed è così bello essere vivi che mi chiedo perché qualcuno possa sprecare un solo minuto! Il riso è la medicina migliore» (Patch Adams, Salute! Ovvero come un medico clown cura gratuitamente i pazienti con l’allegria e con l’amore, Apogeo, Milano, 2004).
La ricerca ha poi confermato ciò che in passato già si supponeva e che Hunter Adams aveva deciso di mettere in pratica nella propria attività professionale: il riso aumenta la secrezione di sostanze chimiche associate ad uno stato di benessere come catecolamine ed endorfine e diminuisce la secrezione di cortisolo; l’ossigenazione del sangue aumenta, la frequenza cardiaca e la pressione tendono a normalizzarsi, l’intera circolazione migliora in modo graduale ma deciso. Non si tratta, in sostanza, di determinare un sorriso rapido ed effimero bensì di instaurare (fra medico, paziente e famigliari) un vero e proprio processo empatico e di condivisione di emozioni che può portare a risultati qualche volta inattesi e straordinari.
Lo hanno capito le centinaia e centinaia di clown dottori che ormai si propongono come vettori di buona umanità e di migliore salute e che cominciano ad affacciarsi nei reparti ospedalieri di ogni parte d’Italia e del mondo.
I clown dottori sono medici ma anche assistenti sociali (e persino volontari): tutti resi più consapevoli della «forza dei sorrisi» da corsi qualificati e qualificanti; corsi in cui si insegnano gelotologia (la disciplina che studia l’arte del ridere e le sue implicazioni terapeutiche) e psiconeuroendrocrinoimmunologia ed in cui si prende confidenza con quegli strumenti del ridere che tante volte abbiamo visto usare dai clown, dalle marionette ai palloncini, dall’improvvisazione teatrale alla musica al canto.
La possibilità che un reparto ospedaliero o una camera di clinica (magari con bimbi piccoli e con occhi pieni di incertezze e timori) si trasformino da luoghi tristi, gelidi, austeri ed ansiogeni in spazi divertenti e colorati, animati da figure serene e gioiose, sorridenti, buffe, complici e strambe è una forza aggiuntiva di cui la medicina del domani (e dell’oggi) deve imparare a dotarsi sempre più spesso. Non per sostituire, come dicevamo all’inizio, ma per integrare quelle cure più tradizionali su sui si fonda il tentativo di porre rimedio alle malattie ed allo stato di sofferenza che ne è determinato.
Un sorriso può guarire o no: certamente aiuta a vivere meglio in ogni attimo. Il momento della malattia richiede però sensibilità e sforzi particolari, impone intelligenza ed originalità, ci interroga sulle strade migliori da seguire per esser davvero vicini a chi sta male. Un buon medico o un valente chirurgo sono indispensabili, lo sappiamo bene. Ma stiamo sempre più imparando a capire altrettanto bene che il naso rosso e l’espressione stranita di un clown dottore sono cose preziose e di certo ci allieterà l’animo nei momenti in cui il nostro cuore ed il nostro spirito ci chiederanno qualcosina di più.