A volte la preoccupazione di perdere sicurezze, sembra attivare una ricerca affannosa delle insicurezze che potrebbero affliggere il nostro futuro, con il proposito di poterle così affrontare e rimuovere. Le incerte conoscenze iniziali e l’impegno a comporre scenari, sostanzialmente compiuti, di argomenti e di metodi per affrontare ulteriori problemi, occupano gran parte del tempo di chi si impegna in questa ricerca. Fra capacità specifiche di aprirsi a nuovi apprendimenti e comprensione dei fenomeni, fra riflessioni sospese e in attesa di un input che sia capace di dare organicità ad un nostro pensiero e ripetibilità ai modelli di interpretazione della realtà, viviamo momenti di compiacimento e di delusione di un sapere sempre da costruire che permette, però, di trovare un senso alle cose e insieme la capacità di cambiare se lo riteniamo necessario.
Nell’attuale dimensione del nostro esistere, dovendo rendere conto anche alla velocità del fare le cose che caratterizza la nostra modernità, può apparire problematico dare una risposta ai nostri bisogni di sicurezze che possiamo riconoscere solo attraverso i tempi, sempre meno disponibili, della riflessione. Nella pratica della vita, da una parte sentiamo la necessità di avere punti di riferimento meditati e affidabili per affrontare e superare le continue difficoltà quotidiane, da un’altra parte possiamo, invece, essere indotti a seguire la strada ben sperimentata dei comportamenti e modi di pensare preordinati da un senso comune delle cose, con i vantaggi, pur solo apparenti, di non perdere tempo nelle riflessioni e, insieme, di non vivere nella solitudine dei propri riferimenti.
Ma le insicurezze vanno oggi ben oltre quella sensazione di afflizione che trova origine nei limiti della condizione umana. Infatti, siamo anche di fronte a insicurezze che non dipendono dal non sapere o non poter gestire le calamità naturali, ma che sono opera delle modifiche degli equilibri naturali da noi stessi realizzate con l’uso di tecnologie sempre più potenti, sempre più sottratte ad una nostra valutazione di opportunità e ad un nostro consenso critico-collaborativo non preordinato. C’è, dunque, un pericolo di collasso per il sistema Terra, ad opera delle tecnologie, anche se lo sviluppo tecnologico, in quanto tale, non è di per sé causa di questo pericolo. Uno stesso sviluppo tecnologico può operare contro gli equilibri naturali, ma anche in sintonia con essi: tutto dipende dai modi usati, dalla volontà dell’uomo che ne applica i risultati e dalle finalità perseguite.
Possiamo affiancare al mondo naturale, un secondo mondo, pur diverso, ma in sintonia con esso: un mondo naturale di secondo livello frutto di intelligente lettura e applicazione degli equilibri naturali. Un mondo che riporti la natura (che oggi ci può apparire estranea) nella realtà del nostro vivere, che la sottragga a quelle visioni riordinate e raccontate nei libri, nelle descrizioni e nelle immagini uniformate ad una mistificante lettura antropomorfa con la quale la sua conoscenza viene, ancora oggi, offerta al mercato dei consumi. È sempre attivo, infatti, il proposito di far immaginar un possibile Eden, che l’uomo può costruire a propria misura, nel quale l’insicurezza appare sconfitta, anche se, gli sprovveduti o chi è in malafede, possono sostenere che questa alienazione mentale sia destinata ad avere concrete prospettive di successo.
Ma, puntando sulla realizzabilità di un paradiso terrestre (prima che possa prendere piede un risveglio di intelligenza valutativa critica), ha già dato risposte, pesantemente condizionanti e invadenti, un modello tecnologico di ambiente, che se non mette ancora in conto la ristrutturazione completa degli equilibri vitali, ne prevede la sottomissione in nome di una sicurezza globale che assomiglia sempre più ad una crociata contro la natura. Già nelle intenzioni, non sembra, però, che questa ristrutturazione, di per sé ingiustificabile, si proponga di migliorare le condizioni di vita e di diminuire le cause delle attuali insicurezze umane, è solo una tabella di marcia di un percorso che deve porre rimedio a possibili cadute di profitto e ad una politica del fare, che lo sostiene e che è sempre sotto attacco da parte di quelle attenzioni democratiche (considerate dispersive e dannose se sono fuori controllo) che possono sfuggire alla criminalizzazione necessaria per costruire e imporre le suggestive certezze dell’ordine delle cose, da far sostenere al deviante senso comune delle cose.