Oggi dobbiamo renderci conto che alla «cultura della previsione» e alla «cultura della pianificazione» deve associarsi la «cultura della prevenzione» e «la cultura dell’adattamento». La tecnologia e la scienza riescono a prevedere con largo anticipo (24-48 ore) dove ci sarà la precipitazione intensa che può causare fenomeni di dissesto idrogeologico, così solo il comportamento dell’uomo, può ridurre l’esposizione delle vite e delle opere agli eventi naturali catastrofici
L’arca di Noè nel racconto biblico è una grande imbarcazione costruita su indicazione divina da Noè per sfuggire al Diluvio universale. Il racconto indica che l’imbarcazione di legno fu utilizzata per salvare la specie umana e gli altri esseri viventi della Terra. Un analogo racconto trovano riscontro nella mitologia di molti popoli primitivi di tutto il mondo dall’Eurasia all’America, dall’Oceania all’Asia. Alcuni geologi, da qualche decennio, studiando le testimonianze sulla terra ferma e sui fondali marini delle variazioni del livello del mare cercano di collocare questo evento apocalittico nei tempi geologicamente recenti. Così è emerso che il tasso medio di crescita del livello del mare ha raggiunto valori massimi tra 12.000 e 10.000 anni fa, con innalzamento medio del livello marino pari a circa 4-5 metri per secolo, ma con episodi sia maggiori sia minori in funzione delle oscillazioni della temperatura. In quel periodo si sono avute modifiche ambientali, catastrofi con invasione delle zone costiere dei continenti da parte delle acque marine; eventi meteorici estremi che hanno fatto ingrossare i corsi d’acqua che, trovando nel livello alto del mare un ostacolo insormontabile al loro libero deflusso, esondavano causando modifiche anche nelle aree più lontane della costa. Forse l’evento biblico si colloca proprio in questa fase di catastrofi naturali.
Ritornando ai tempi attuali, la stagione delle piogge estreme è iniziata con l’evento della Puglia jonica; ha mostrato i catastrofici effetti del tifone Haiyan che ha devastato le Filippine con una furia inaudita causando, secondo una stima provvisoria dell’Onu, oltre 4mila vittime; ha evidenziato la fragilità del territorio sardo, attraversata da nord est a sud ovest da piogge che hanno causato vittime e ingenti danni. Tutti questi eventi erano stati previsti nelle 24 ore precedenti. Oggi la tecnologia satellitare, gli investimenti nella ricerca nel settore della meteorologia, necessari per garantire la sicurezza nel trasporto aereo e marittimo di persone e merce, è tale da avere la possibilità di prevedere con buona approssimazione intensità e percorso degli eventi estremi.
Che cosa è mancato?
Sicuramente è mancata la cultura della prevenzione, la cultura della pianificazione, la cultura della manutenzione del territorio; tutti aspetti che vanno coltivati con costanza e mostrano i loro effetti solo nel tempo. Molti si sono scandalizzati leggendo le esigue somme che il governo ha destinato alla difesa del suolo per i prossimi anni; come se moltiplicando tali somme sin dalle prossime settimane non ci saranno più vittime e danni causate dal dissesto idrogeologico.
Qualcosa nel nostro Paese non funziona se anche un’importante parte dei rappresentanti delle principali associazioni di protezione ambientale e di categoria, dei Consigli nazionali degli ordini professionali del settore, dei Sindaci e del mondo dei tecnici e della ricerca scrivono al Primo Ministro per rappresentare che quanto previsto dalla legge di stabilità sul tema del dissesto idrogeologico sia assolutamente inadeguato. Rimarcando che i nuovi fondi pari a 30 milioni per l’anno 2014, 50 milioni per l’anno 2015 ed euro 100 milioni per l’anno 2016 non sono sufficienti a contrastare il dissesto idrogeologico. Le richieste si traducono letteralmente in più somme e più capacità di spesa:
– la deroga al patto di stabilità per consentire alle amministrazioni locali di mettere in campo gli interventi previsti dai Piani di bacino (PAI – Piani di assetto idrogeologico, ecc.) e dalla pianificazione di settore per la mitigazione del rischio idrogeologico nei loro territori. Azione questa prioritaria e richiamata a gran voce anche in questi giorni. Infatti, le spese di Regioni e Comuni relative alla mitigazione del rischio idrogeologico vanno considerate come veri e propri investimenti, in quanto più efficaci di qualsiasi intervento in emergenza e in grado di prevenire danni per cifre ben superiori a quelle così investite.
– aumentare la somma prevista dall’attuale legge di stabilità (che prevede 180 milioni di euro per i prossimi tre anni) stanziando almeno 500 milioni di euro all’anno da destinare ad un’azione nazionale di difesa del suolo che rilanci la riqualificazione fluviale, la manutenzione ordinaria e la tutela del territorio come elementi strategici delle politiche di prevenzione, abbandonando la logica del ricorso a sole opere strutturali e di somma urgenza, coerentemente con gli obiettivi della direttiva comunitaria 2007/60/CE sulla gestione del rischio alluvioni.
I cambiamenti climatici in corso con l’aumentata frequenza delle piogge brevi e intense, il cambiamento dell’uso del suolo con l’aumento delle superfici impermeabili, la realizzazione di opere negli alvei dei corsi d’acqua hanno determinato un aumento generalizzato della pericolosità idraulica dei territori. Le grandi opere di difesa idraulica progettate negli anni passati si sono basate su condizioni climatiche e uso del suolo che nei fatti sono mutate nel corso degli ultimi decenni.
Con l’entrata in vigore dei Piani di assetto idrogeologico si è cercato di far cambiare l’approccio tra opere dell’uomo e territorio, evitando di costruire nuove opere nelle aree pericolose, ma questo non basta. Oggi dobbiamo renderci conto che alla «cultura della previsione» e alla «cultura della pianificazione» deve associarsi la «cultura della prevenzione» e «la cultura dell’adattamento».
La tecnologia e la scienza riescono a prevedere con largo anticipo (24-48 ore) dove ci sarà la precipitazione intensa che può causare fenomeni di dissesto idrogeologico, così solo il comportamento dell’uomo, può ridurre l’esposizione delle vite e delle opere agli eventi naturali catastrofici.
Oggi non possiamo più parlare di fatalità e catastrofi impreviste e imprevedibili, oggi dobbiamo parlare di prevenzione, di delocalizzazione, di manutenzione del territorio. In questo modo sensato di organizzare la vita in relazione al territorio devono concorrere tutti: amministratori, imprenditori, cittadini, società civile, organi d’informazione e il sistema di educazione scolastico. In questo modo tuteleremo la vita senza aspettare la costruzione dell’arca d’oro.