Ossido di azoto, la Svezia ha fatto così

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La novità della politica svedese consiste nella restituzione del gettito della tassa alle industrie partecipanti in proporzione all’energia da loro prodotta. Si tratta dunque di un forte stimolo all’innovazione tecnologica: i rimborsi, difatti, stimolano da un lato gli investimenti per ridurre le emissioni e dall’altro l’aumento di produzione di energia, così da ricevere maggiori quote di rimborsi. Uno stimolo ulteriore si genera promettendo ai manager un bonus sui salari in caso di basse emissioni

Il report dell’Ocse del dicembre 2013 («The swedish tax on nitrose oxide emissions») fa luce sui grandi benefici conseguiti dalla riforma svedese nel campo delle politiche ambientali, specificatamente in termini di riduzione delle emissioni di un inquinante come l’ossido di azoto (NOx) e ad un miglioramento della tecnologia industriale.
Negli anni 80 la Svezia ha dovuto affrontare un problema di acidificazione dei suoli, già acidi naturalmente, e di eutrofizzazione dell’acqua, entrambi dovuti alle emissioni di NO2 degli impianti di combustione dei trasporti, delle industrie e delle centrali di energia.
Gli effetti di tali emissioni gravano sulla vegetazione, che è colpita dalle cosiddette piogge acide, e sulla salute umana con conseguenti malattie respiratorie e cardiovascolari.
L’ossido di azoto si forma per reazione con l’ossigeno presente nell’aria durante la combustione e non è possibile quantificarlo in base al contenuto dei combustibili utilizzati nel processo, come invece succede per altre sostanze inquinanti. Si tratta quindi di emissioni difficili da controllare.
Alla fine degli anni 80 il Parlamento svedese è intervenuto chiedendo la riduzione delle emissioni del 30%. Limitandosi a tale imposizione si temeva però di danneggiare la competitività delle industrie coinvolte. L’incarico è passato quindi alla Commissioni per gli affari ambientali svedese che si è occupata di redigere una politica che fosse capace di ridurre le emissioni di NOx e al tempo stesso di stimolare gli investimenti in tecnologie avanzate di combustione e di abbattimento dell’inquinamento.
Nel 1992, il Parlamento svedese ha approvato l’introduzione di una tassa dell’importo di 40 corone svedesi per ogni chilo di ossido di azoto emesso, da applicare limitatamente agli impianti che producono almeno 50 MWh di energia utile all’anno. L’espressione energia utile si distingue secondo il tipo di industrie: per le industrie energetiche corrisponde all’energia venduta, mentre per gli altri tipi di industrie si intende vapore, acqua calda o elettricità prodotti e impiegati nella produzione.
La novità della politica svedese consiste nella restituzione del gettito della tassa alle industrie partecipanti in proporzione all’energia da loro prodotta.
Si tratta dunque di un forte stimolo all’innovazione tecnologica: i rimborsi, difatti, stimolano da un lato gli investimenti per ridurre le emissioni e dall’altro l’aumento di produzione di energia, così da ricevere maggiori quote di rimborsi.
Uno stimolo ulteriore si genera promettendo ai manager un bonus sui salari in caso di basse emissioni.

Al momento dell’implementazione della politica nel 1992, la tassazione colpiva 200 industrie. Nel 1997 è stata estesa fino a coinvolgerne 400. Il criterio riguardante i MWh prodotti è stato abbassato a 25 MWh di energia utile all’anno. Questa modifica è stata introdotta in seguito alla diminuzione dei costi di monitoraggio e dei costi marginali di riduzione dell’inquinamento.
I risultati della tassa sulle emissioni di ossido di azoto sono evidenti. Il gettito nel 1992 è stato di 612 milioni di corone ed è aumentato fino a 794 milioni di corone nel 2011 (tenendo presente un aumento dell’importo della tassa a 50 corone). Contemporaneamente le emissioni totali sono state ridotte nel periodo 1980-2000 di 210 chilotonnellate, specificatamente da 450 a 240 chilotonnellate.
Dunque, considerando che il settore dei trasporti non è sottoposto alla tassazione, ma che conta per il 54% delle emissioni totali, si può affermare che questa politica ha portato all’abbattimento del 50% delle emissioni, ben oltre il 30% previsto inizialmente.

Secondo un sondaggio di Höglund-Isaksson, il 47% delle industrie non avrebbe innovato gli impianti senza l’introduzione della tassa che, oltre al miglioramento delle performance riguardo all’ossido di azoto, ha incentivato anche la riduzione delle emissioni di SO2 e CO2.
Da non sottovalutare comunque l’aumento delle emissioni di inquinanti come il monossido di carbonio (CO), l’ossido di diazoto (N2O) o ammoniaca (NH3).
Il problema potrebbe essere risolvibile applicando un «prezzo» su ognuno degli inquinanti prodotti che rappresenti il danno causato alla società.
Il caso svedese dimostra dunque come sia possibile imporre una politica severa di abbattimento delle emissioni di inquinanti e renderla politicamente accettabile grazie alla restituzione dei proventi come incentivo per l’innovazione tecnologica.
Sotto il profilo sociale, inoltre, l’introduzione della tassa ha poi sensibilizzato molti svedesi riguardo ai danni causati dalle emissioni di NOx e quindi alla sua necessità, aspetto non sempre di facile accettazione.