Un primo modello privilegiato nel processo della promozione autonoma è l’azione scenica, o laboratorio teatrale che, al modello generico di laboratorio, aggiunge altri elementi che gli sono peculiari. Abbiamo trattato questo argomento riferito alla vita scolastica in base ad esperienze pluridecennali5; qui è utile esporre alcune variabili significative per l’approfondimento della disincapsulazione.
Fare teatro, in una situazione educativa scolastica, coinvolge ricerca,scrittura creativa, confronto, sensibilità, gestualità, rappresentatività, movimento corporeo, modulazione vocale, con dosaggio del ritmo, dei silenzi e dei volumi, nell’insieme della contaminazione dei linguaggi, della cura del genere … insomma della creatività.
L’interdisciplinarietà, nell’azione teatrale, non si limita alla strategia attraverso l’inclusione di più discipline; essa, nella migliore delle realizzazioni possibili utilizzando le diverse tecniche, mira all’unità del prodotto e a quella degli interventi attraverso i traguardi comuni; si tratta dell’interpretazione tematica realizzata con l’ermeneutica condivisa tra i vari insegnanti delle diverse discipline, chiamati ad unità di fini e di scopi pur da diverse prospettive. Da qui nasce la contaminazione che coinvolge tutte le capacità espressive e comunicative degli alunni. Se poi anche gli insegnanti fanno parte del cast allora la reciprocità cresce sulla base comune di spazi ed espressioni globali condivise e complementari. È il traguardo unitario che alimenta parole, gesti, musica e scene, attraverso l’unità di azione, l’unità del luogo e del soggetto scenico.
A questo livello l’educazione all’autonomia è una conseguenza logica e spontanea, non un campo esplicito e circoscritto: matura nello svolgimento del pacchetto unitario intrapreso con l’entusiasmo e il godimento impliciti in una produzione artistica.
Se si sceglie la recitazione corale, affidando le parti non a singoli ma a sottocori, allora la sintonia e l’armonia, con la differenziazione delle voci e della misura quasi musicale dell’insieme, consegnano al pathos la forza coinvolgente della complicità con gli spettatori. Ma c’è di più. L’inserimento nel coro offre agli alunni diversamente abili spazi di sicurezza difficilmente raggiungibili nella classe-standard. Abbiamo scoperto che si attenua la balbuzie e scompaiono gli errori di ortografia: la sicurezza psicologia, infatti, presiede al superamento di questi due problemi, l’emotività riceve governo dalla situazione complessa dell’azione teatrale. Non ultimo il valore dell’entusiasmo degli spettatori che con l’applauso sollecitano la gratificazione e ripagano il lavoro e la fatica consumati nel percorso di preparazione.
L’impiego delle registrazioni, in fase di prova, sia sonore sia visive, offre agli alunni l’occasione di affinare, limare, correggere e di rendersi conto del miglioramento della performance.
Un secondo campo di intervento a scuola è l’impiego del Circle-Talk6. Le sue caratteristiche di impianto e di applicazione rendono agevole il conseguimento della sicurezza, dell’autonomia e della salute individuale.
La nostra composizione del binomio sostituisce con «talk» il termine generalmente usato «time». Non certo per il diffusissimo impiego televisivo, inflazionato e spesso deteriorante; ma perché la «parola» mobilita tutte le risorse delle persone e perché attraverso essa si compiono i miracoli della vita, come affermava Gorgia, in tempi assai lontani ma con lungimiranza assai attuale: «La parola è una potente signora che, pur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile, compie le opere più divine. Può far cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione […] il fascino divino che avviene per mezzo della parola è generatore di piacere e liberatore dal dolore».7
L’impiego della parola in una situazione di comunicazione facilitata è frutto dell’organizzazione sinergica di cui abbiamo già detto. Il cerchio è una forma destrutturata rispetto all’assetto ordinario e tradizionale di aula. Un’operazione di contatto e di scambio del rapporto visivo che offre al linguaggio non-verbale una aggiunta di comunicazione sui vissuti «altri», convergenti o divergenti e comunque chiavi e lenti per la lettura e l’interpretazione dei messaggi. Attraverso tale dinamica la percezione del proprio sé si bilancia con gli altri partecipanti e cresce l’autostima.
Per quanto a scuola il cerchio non possa né debba essere strumento di terapia clinica, esercita tuttavia una funzione terapeutica di superficie prodotta anche dall’empatia tra i partecipanti e tra questi ed il facilitatore. La funzione di quest’ultimo, che sia esperto in dinamica di gruppo, mira ad evitare la spettacolarizzazione dei contenuti dei messaggi e corrobora l’azione dei freni inibitori per non depauperare la reciprocità e non sminuire l’autoregolamentazione.
Un terzo campo è quello dell’autovalutazione. Nel 1993 un centinaio di delegati appartenenti a tutti i Provveditorati agli Studi d’Italia partecipammo al Seminario Nazionale indetto del ministero della Pubblica Istruzione, a Punta Ala (Grosseto), per definire il modello di Scheda di Valutazione per la Scuola Media di 1° grado. In quell’occasione ebbi modo di esporre come la Scheda ministeriale (prevista per fine tri/quadrimestre) risultasse di fatto un semplice verbale, fotografia di un atto occasionale, statico e sterile ai fini della valutazione intesa come attenzione vigile e dinamica sui procedimenti ed i processi dell’apprendere.
Compresi allora come fosse del tutto insufficiente un modello destinato più all’archivio e al dossier che ad accompagnare il viaggio dell’apprendimento, sotto diretta visione dell’alunno stesso.
Approntai, dopo il simposio, una Scheda di percorso e di Autovalutazione destinata ad ogni alunno e a lui consegnata come visualizzazione del proprio lavoro apprenditivo8: su di essa l’alunno evidenziava l’acquisizione dei vari obiettivi e dei traguardi intermedi; chiedeva quindi, alla sua stessa valutazione, di essere sottoposto a verifica. Garante lo stesso alunno, si evitavano interrogazioni trabocchetto, prove improvvise ed impreviste. Il raggiungimento di livelli anche alti diventavano ad appannaggio di ognuno, senza pregiudizio. Si passava dalle domande a caccia di errori o di ignoranza a prove esplicite di competenza ed abilità.
La scheda fu applicata per dieci anni in istituti di Media di 1° grado e nei Licei, con risultati positivi e soddisfazione degli studenti e delle loro famiglie.
Francesco Sofia, Pedagogista, Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani