Sei anziani in Europa «accuditi» 24 ore su 24 da un robot ed un software progettato per ingannare gli esaminatori di un test simulando le risposte di un ragazzo di tredici anni. Due casi che pongono una serie di interrogativi sul nostro futuro
Le due notizie sono apparse sulla stampa a distanza di poche settimane ma hanno un profilo comune ed un filo sotterraneo che le lega fra di loro e le conduce dritte dritte nella nostra possibile e nemmeno tanto futura quotidianità. Con qualche domanda e qualche perplessità.
Veniamo alla prima, per cominciare. La Commissione europea ha finanziato tempo addietro un progetto finalizzato alla realizzazione di un robot con le caratteristiche e le peculiarità di assistente domestico alla persona in maniera da poter essere impiegato come una sorta di badante prevalentemente per anziani o malati non autosufficienti. Un progetto (3 milioni di euro iniziali) che è andato avanti ed è arrivato al punto della costruzione e sperimentazione di modelli di questo robot nella vita giornaliera di un certo numero di anziani, disponibili a verificare l’efficienza del sistema.
È così che, mentre scriviamo, ci sono sei anziani europei che stanno sperimentando la coabitazione h24 con un robot tutto fare che provvede a sorvegliarli, analizzarne lo stato di salute (pressione, funzionalità cardiaca, glicemia e così via) e che si aggirano per le loro case raccogliendo eventuali altri segnali o provvedendo a smistare informazioni o richieste d’aiuto ad apposite centrali operative attive.
In Italia una certa notorietà sta acquisendo la nonna Lea, novantaquattrenne di Roma, che già da cinque-sei mesi coabita con Mister Robin, un robot con l’aspetto di una giraffa (base mobile sormontata da una sorta di lungo collo su cui è impiantato uno schermo sul quale compare stabilmente un volto colloquiante e premuroso), fornito di una vasta serie di sensori (acustici e non) che permettono di «essere in relazione» attiva e passiva con l’arzilla vecchietta, tra l’altro ben allenata ad avere a che fare con computer e tecnologie innovative e da sempre impegnata, oltre che in tutte le altre attività routinarie, a scrivere libri. Pare che l’intento della Commissione europea (in collaborazione con vari partner fra cui il nostro Cnr) sia di attivare entro la fine del 2015 un certo numero di questi assistenti telematici alla persona, con un costo d’acquisto (per chi volesse dotarsene) di 2mila euro o con un affitto mensile di 200 euro: l’azienda produttrice, la Giraff Technologies (ed infatti il nome tecnico di Mister Robin è quello di Giraff Plus proprio per l’aspetto a giraffa dato dal lungo collo) si dice certa che in questo modo sarà semplice arrivare non solo ad un servizio personalizzato e puntuale di assistenza alla persona che vive sola ed ha necessità di supporto quotidiano ma anche di fornire una sorta di «compagnia psicologica» a coloro che non hanno la possibilità di incontrare gente o di essere visitate da parenti, amici o vicini di casa. Interessante? Inquietante? Assurdo? Un attimo di tregua e veniamo alla seconda notizia.
Chi si occupa di informatica o di robotica conosce presumibilmente il Test di Turing, quella sorta di esame condotto ai vari software che si propongano per la prova, finalizzato a stabilire sino a che punto l’intelligenza di un computer sia capace di «pensare come un umano», simulandone non solo la capacità di elaborazione e di successione logica ma anche le incertezze emotive e comunicative esattamente come fa una persona in carne ed ossa.
Il test, messo a punto e proposto da Alan Turing in un articolo sulla rivista «Mind» nel 1950, prevede che dinanzi ad un certo numero di «giudici» (tenuti ovviamente all’oscuro della vera identità dei partecipanti) si confrontino con domande, risposte e dialoghi serrati e per un intervallo stabilito di tempo sia un certo numero di persone «reali» sia un uguale numero di computer (o meglio di loro software) con l’intento di simulare in tutto e per tutto le reazioni, i pensieri e le parole degli esseri umani. Turing si disse convinto che in pochi anni i programmi dei computer sarebbero stati in grado di «imbrogliare» alla perfezione i giudici deputati alla discriminazione fra le due popolazioni di intervistati e pose in un numero specifico (almeno il 30% dei giudici ingannati) la linea oltre la quale si sarebbe potuto con buon diritto affermare che «ormai» le macchine erano in grado di pensare come l’uomo.
Il test di Turing ha fatto parlare molto di sé in questi anni, provocando discussioni, critiche insieme anche a molto interesse ma non venendo mai superato nell’appuntamento annuale mondiale dedicato all’argomento e che si trasforma ogni volta in una sorta di grande verifica sui progressi della robotica (e sull’inquietudine degli umani). Prima per molto poi per sempre meno il Test di Turing aveva però portato negli scorsi anni alla conclusione che, per quanto vicini, l’umano vinceva sempre ed i robot non erano ancora in grado di simulare totalmente il pensiero, le emozioni (o la loro rappresentazione, è ovvio), la colloquialità di un essere vivente. Sempre sino a qualche giorno fa, quando la notizia del superamento, per la prima volta, del test di Turing da parte di un software appositamente studiato per tale scopo sembra aver aperto definitivamente le porte a riflessioni di vasta portata. Eugene Goostman, il cleverbot realizzato da Vladimir Veselov ed Eugene Demchenko, ha superato la prova convincendo il 33% dei giudici di essere un ragazzino di 13 anni davanti al pubblico (prima ansioso poi entusiasta) della Royal Society di Londra. I commenti (forse anche un po’ eccessivi ma riteniamo comunque giustificati) sono stati quasi tutti all’impronta del «possono pensare come noi, possono pensare con noi, possono pensare di noi».
Mister Robin, Eugene con il Test di Turing e l’arzilla nonna Lea sono il nostro futuro presente. Così come vien da dire che il film «Her» (uno dei grandi successi di questa stagione cinematografica) smette di essere storia e diviene quotidiano. Forse inquietante ma attuale.
So che in tanti rimarrete perplessi o inorriditi, oltre che presumibilmente incuriositi.
Io rimando le mie considerazioni alla prossima volta: proviamo per ora a limitarci a lanciare il sasso.