Oggi vestirsi non è solo coprirsi

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Se la tecnologia corre, come dimostrano i tessuti con elettrodi applicati che potranno trasmettere i nostri dati corporei e addirittura metterli on line con complicazioni di privacy e furti d’identità che si stanno già valutando, sta procedendo, grazie anche a finanziamenti europei, la riscoperta di antiche lavorazioni strettamente legate a produzioni di tessuti di origine animale o batteriche. Sembrerebbe quindi quasi fuori moda, nel futuro, un vestirsi solo per piacere

L’ultimo numero, on line, del trimestrale «Villaggio Globale» è dedicato alle stoffe, il terzo dei materiali scelti di cui ci stiamo occupando quest’anno.
La stoffa è un materiale antico e si presta a vari approcci di riflessione. In questo numero il Lettore può avere una panoramica esauriente e, soprattutto, riflettere sui nuovi materiali o sulle riscoperte degli antichi.
Proponiamo qui l’Editoriale del Direttore.

I riferimenti allegorici sulla stoffa sono noti da epoca antica e tutt’ora utilizzati ma forse inavvertitamente non ci stiamo accorgendo (ed il processo dura ormai da tempo) che il significato è traslato all’identità e che da accessorio è diventato il fine.
«L’avere (o non avere…) la stoffa per…» e «l’abito non fa il monaco», il significato dall’esteriorità è passato al fine.
Non so se Erich Fromm scriverebbe ancora «Avere o essere?» con gli stessi concetti del 1977… È ormai largamente diffuso il «bisogno» di apparire ed avere tutti gli strumenti giusti per farlo. Ed a qualsiasi prezzo si inseguono azioni anche a danno della propria personalità, persino il corpo è diventato merce di scambio per raggiungere tali obiettivi.

Il processo è stato lento e la Moda (con la M maiuscola) ha la sua parte di responsabilità perché è la rappresentatività di questo processo. Non lo scopriamo ora che la divisa è l’immagine evidente di una appartenenza, ed ha lo stesso senso dei capelli lunghi, dell’eskimo, dei blue jeans nelle varie fogge, della minigonna, degli hot pants, della maglietta con l’ombelico non coperto… il punto è che da una semplice maniera di espressione si è passati ad una imposizione (la camicia nera…) che ha escluso ogni altra forma di scelta. E le cose non cambiano con le scelte moderne «alla moda». Provate ad entrare in un qualsiasi negozio o in una catena di abbigliamento e vedrete che cosa propongono… sempre la stessa «divisa» e la stessa taglia.
In questa situazione la Moda è sempre stata molto attenta: da una parte facendo uno studio sulle stoffe e sui colori, pescando a piene mani nei tessuti tradizionali, da quelli indiani a quelli arabi, da quelli sudamericani a quelli tecnologici. Dall’altra parte si è operata una divisione culturale fra coloro che tengono alla tradizione e a tutto quello che essa significa, e fra coloro che fanno dell’immagine il loro nuovo distintivo, una sorta di divisa che significa stato sociale, differenza culturale, rifiuto di una cultura che opera una separazione come quella definita da De Saussure fra significato e significante per la parola.
Il punto più alto di questa dicotomia si è avuto nella battaglia contro le pellicce. Certo la pelliccia o le pelli non sono un tessuto prodotto dall’ingegno antico della tessitura ma una forma di abbigliamento che ben raffigura questo processo di evoluzione nel rapporto uomo-natura.
Il rapporto uomo-natura è presente anche con i tessuti, legato ai problemi della coltivazione (il caso del cotone), della trasformazione (supersfruttamento dei lavoratori) e della colorazione (inquinamento delle acque). Ma tutto questo non importa a nessuno.
L’orientamento è ora l’innovazione dei tessuti, quelli derivati dal petrolio e quelli tecnologici.

Ma se la tecnologia corre, come dimostrano i tessuti con elettrodi applicati che potranno trasmettere i nostri dati corporei e addirittura metterli on line con complicazioni di privacy e furti d’identità che si stanno già valutando, sta procedendo, grazie anche a finanziamenti europei, la riscoperta di antiche lavorazioni strettamente legate a produzioni di tessuti di origine animale o batteriche.
Economia sempre in primo piano ma con un occhio più alla concretezza e alla multifunzionalità.
Sembrerebbe quindi quasi fuori moda, nel futuro, un vestirsi solo per piacere.
Quindi due pare che siano i settori che si occuperanno della «moda»: la tecnologia e la religione.
La tecnologia sta erodendo gran parte della nostra civiltà ma è l’unica alla quale ancora ci aggrappiamo e non importa se il rischio più alto è la perdita della riservatezza mettendo tutto on line: sentimenti, vita e corpo fino alla composizione del Dna, della glicemia e di altri dati sensibili. La religione è ancora forte nel condizionamento del pensiero ma i guasti che stanno portando le forze integraliste finiranno per autodistruggere anche la religione e, saltando questa, nulla ostacolerà l’avvento del nuovo. E il nuovo non sarà quello che immaginano questi nuovi fedeli con la distruzione di statue e templi o impedendo l’istruzione alle donne, perché già ci provarono altri secoli fa distruggendo la biblioteca di Alessandria o distruggendo libri e pensiero di filosofi come Averroè…
Questi radicalismi fanno dell’abbigliamento un settore fondamentale e ripescano l’«immagine» tout-court. Torna il colore nero, il volto travisato sia per l’uomo sia per la donna. L’immagine esteriore diventa identità ed immagine del pensiero. O si vorrebbe così… con la forza.
Sappiamo che la forza può rallentare il cammino dell’uomo ma non annullarlo. Non ci resta che aspettare perché «adda passà ‘a nuttata».