La Cia alla vigilia della nuova edizione del «Sana» di Bologna: dal 2005 il settore continua a crescere ininterrottamente, e da fenomeno di nicchia si trasforma in abitudine di spesa, complice lo sviluppo di uno stile alimentare etico soprattutto tra i giovani. In aumento anche gli operatori (+5,4%) e la superficie dedicata (+12,8%), soprattutto al Sud. Ora bisogna lavorare a livello normativo per sostenere l’ulteriore sviluppo del «bio», a partire dall’Europa
Il biologico continua a guadagnare spazio sia nel carrello dei consumatori sia sui terreni degli agricoltori. Gli acquisti «bio» crescono ormai ininterrottamente dal 2005, con un andamento assolutamente anticiclico, e sale la spesa degli italiani anche per nuovi prodotti come caffè, pasta e omogeneizzati biologici. Contemporaneamente aumentano anche gli ettari dedicati e le imprese coinvolte, soprattutto al Sud. Lo afferma la Cia-Confederazione italiana agricoltori alla vigilia del «Sana», il Salone internazionale del biologico e del naturale che si apre domani a Bologna.
Dopo aver chiuso il 2013 con un +7 per cento, il segmento «bio» registra un nuovo incremento dei consumi del 17,3 per cento nella prima metà di quest’anno, mentre nello stesso periodo la spesa alimentare convenzionale cala dell’1,4 per cento. Vuol dire che il biologico non è più un fenomeno circoscritto o una moda, osserva la Cia, ma è diventato un’abitudine di spesa tendenzialmente di massa a cui non si rinuncia nemmeno con la crisi, complici le vendite di «bio» anche nei discount (+25 per cento in un anno).
Ma la vera novità sta nella gamma di offerta raggiunta ormai dai prodotti biologici nel largo consumo: se è vero che ortofrutta e uova rappresentano ancora le merci più acquistate, con un’incidenza sulla spesa complessiva di «bio» rispettivamente del 30 per cento e del 10 per cento circa, spiega la Cia, ad aver trascinato così in alto il settore nella prima parte del 2014 sono le nuove categorie di «pasta, riso e sostituti del pane» (a base di kamut, farro o grano saraceno) con un aumento record del 73 per cento, seguiti dalle voci «zucchero, caffè e tè» (+37,2 per cento) e dagli omogeneizzati (+21,3 per cento). Una linea completa che è frutto anche dello sviluppo di uno stile alimentare etico ed ecosostenibile che interessa soprattutto i giovani e coinvolge sempre più spesso i neo-genitori.
Anche il mondo produttivo non sta a guardare e lavora per rendere il biologico una delle certezze dell’agroalimentare italiano. Nell’ultimo anno, infatti, il numero delle aziende certificate è cresciuto del 5,4 per cento a quota 52.383, sottolinea la Cia, con il «boom» delle regioni meridionali, con il podio occupato dalla Sicilia (gli operatori sono aumentati del 24,9 per cento) e a seguire Calabria e Puglia. Lo stesso vale per la superficie dedicata, con un totale di 1,3 milioni di ettari lavorati secondo il metodo biologico e un incremento annuo del 12,8 per cento: svettano le aree destinate a cereali, foraggio, olivo e vite, così come gli allevamenti in particolare di polli, che hanno superato quota 3 milioni di capi.
È chiaro, quindi, che ora bisogna lavorare a livello normativo per sostenere l’ulteriore sviluppo del segmento «bio», aggiornando e adeguando le regole. In questo senso, la proposta di Bruxelles per rivedere la legislazione Ue sul biologico rappresenta un passo avanti importante, anche se toccherà aspettare gli atti delegati per passare dai principi generali alla parte applicativa vera e propria. Ma al settore serve un nuovo regolamento, che punti a semplificare la burocrazia e i meccanismi di certificazione, aprendo il mercato anche ai piccoli produttori; a rafforzare i controlli; a creare una concorrenza più leale all’interno e all’esterno dell’Italia e dell’Europa.