«Il carbonio elementare nel particolato atmosferico sta assumendo una sempre maggiore rilevanza a livello ambientale, tant’è che la Commissione Europea ne raccomanda il monitoraggio. Recentemente, studi epidemiologici hanno fatto sì che l’Organizzazione mondiale della sanità puntasse gli occhi su questo inquinante emergente per i suoi effetti dannosi ai danni dei sistemi respiratorio e cardiovascolare, oltre che per i possibili effetti cancerogeni»
Nell’aria che respiriamo tutti i giorni è presente una sottile polvere nera, chiamata carbonio elementare (più noto con il termine inglese black carbon), che è oggetto di una ricerca, la prima in Italia, effettuata da un team di ricercatori del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e di alcune Università ed Enti. Lo studio, che sarà presentato domani a Roma, presso la sede dell’Accademia dei Lincei, nell’ambito della XXXII Giornata dell’Ambiente, è in corso di stampa sulla rivista «Atmospheric Environment».
«Questo inquinante, dannoso sia per l’ambiente sia per la salute, assieme al carbonio organico costituisce la frazione carboniosa del particolato atmosferico, una componente importante di quest’ultimo, fino al 40% della massa – spiega Sandro Fuzzi dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna (Isac-Cnr) -. In atmosfera il carbonio elementare e il carbonio organico si trovano sempre associati, poiché originati dalle stesse sorgenti: la combustione incompleta di una qualsiasi sostanza organica, sia combustibili fossili, sia biomasse (legna e residui agricoli), per autotrazione, riscaldamento e produzione di energia».
I dati sono ancora limitati e non omogeneamente distribuiti sul territorio. «L’importante quadro di insieme a livello nazionale ha permesso di evidenziare che le concentrazioni di carbonio elementare nei siti trafficati sono più di cinquanta volte maggiori rispetto ai siti remoti di alta montagna. Per esempio, a Milano in viale Sarca la media nel periodo invernale sfiora i 6 microgrammi per metro cubo (μgm-3), mentre è pari a 0,1 μgm-3 presso il sito ad alta quota di Monte Cimone, nell’Appennino Tosco-Emiliano. Un altro dato importante è che le concentrazioni di carbonio organico ed elementare nella Pianura Padana in inverno sono tre-quattro volte maggiori rispetto a quelle estive – continua il ricercatore -. Questo a causa dell’intensità di alcune sorgenti quali il riscaldamento domestico durante la stagione fredda e delle frequenti condizioni di stabilità atmosferica, con scarso ricambio delle masse d’aria, che favoriscono l’accumulo degli inquinanti».
Sempre nel periodo invernale, «le concentrazioni di carbonio organico nei siti urbani della Pianura Padana, arrivano fino a 12 μgm-3 nella città di Milano, in via Pascal, risultando mediamente doppie rispetto a siti urbani della Puglia, dove raggiungono massimi di 8 μgm-3 nelle città di Lecce e Bari. Questi valori stagionali a Milano sono superiori del 30% anche a quelli misurati in una grande città come Roma e corrispondono a percentuali di sostanza carboniosa che arrivano al 47% della massa totale dell’aerosol», prosegue Fuzzi.
Il lavoro, coordinato dalla Società italiana di aerosol presieduta da Roberta Vecchi (Università di Milano), è stato condotto da tre Istituti del Cnr, l’Isac di Bologna, l’Istituto sull’inquinamento atmosferico, l’Istituto di metodologia per l’analisi ambientale e da sette università italiane (Statale, Bicocca e Politecnico di Milano, atenei di Genova, Perugia, Bari e del Salento) dall’Arpa-Lombardia e dal Centro comune per la ricerca della commissione europea. «Il carbonio elementare nel particolato atmosferico sta assumendo una sempre maggiore rilevanza a livello ambientale, tant’è che la Commissione Europea ne raccomanda il monitoraggio. Recentemente, studi epidemiologici hanno fatto sì che l’Organizzazione mondiale della sanità puntasse gli occhi su questo inquinante emergente per i suoi effetti dannosi ai danni dei sistemi respiratorio e cardiovascolare, oltre che per i possibili effetti cancerogeni», conclude il ricercatore.