Case di vetro, in tempi di realtà virtuali, sono anche gli schermi video, da quelli che propongono programmi televisivi a quelli dei PC, sui quali scorrono racconti, informazioni, commenti, valutazioni, immagini, parole e segni da decodificare. Oggi, questi schermi non sono più di vetro, ma ne mantengono le proprietà e quella disponibilità, continua e sempre più sconfinata, di accesso. Sono schermi che, come finestre di scatole senza fondo, mostrano e propongono sempre nuove attività, relazioni e oggetti concreti, pur se in una forma solo bidimensionale. Senza inchiostri e carta scriviamo lettere, articoli, libri; manteniamo fitte corrispondenze inviando parole, suoni e immagini anche nei luoghi più lontani della nostra Terra; partecipiamo, come se fossimo in prima fila, ai talk show, ai giochi e agli spettacoli di varietà; attendiamo con ansia i risultati finali di appassionanti gare che si svolgono in luoghi così lontani che non avremmo mai potuto raggiungere così facilmente e con tanta frequenza; possiamo trovarci così profondamente coinvolti, dalle situazioni e dai sentimenti proposti dalle fiction televisive, da arrivare fino a identificarci con i loro personaggi ed entrare a far parte di quei loro mondi virtuali; possiamo, però, anche ridurci a vivere da alienati che (nel consumo di schizofreniche programmazioni televisive e nell’attesa degli epiloghi delle loro storie o di un’inchiesta o di un dibattito) arrivano perfino a sospendere il proprio esistere reale e a trascurare il piacere e la fatica di vivere e costruire una propria vita.
Un’alienazione che, pur con una diversa intensità di coinvolgimento, pesa con la sua diffusione, sulla formazione di una nostra identità originale e sulla nostra partecipazione attiva alla vita sociale, come luogo e occasione di sinergie. Un’alienazione che può diventare causa di quelle turbe mentali e comportamentali che il senso comune delle cose, invece, vorrebbe strumentalmente attribuire al disorientamento che sarebbe causato da insopportabili diversità, da quelle stesse che molti hanno preoccupanti difficoltà a riconoscere come risorse indispensabili per gli equilibri naturali, unica fonte di fenomeni vitali. Un’alienazione che può indurre posizioni di isolamento e di difesa e portare a scelte individualiste del proprio modo di essere.
C’è, poi, anche chi vorrebbe case di vetro per controllare le relazioni sociali e per impedire quel disordine, che in realtà è la naturale complessità dei fenomeni vitali (dei quali l’uomo è una specifica e qualificata parte), immaginando di poter, così, verificare e gestire gli stili di vita, le tendenze di moda e, se richiesto per qualche interesse particolare, dare sostegno a meccaniche e interessate convergenze, di comportamenti e modi di pensare, su specifici modelli culturali e modi di fare le cose (per esempio quelli dei consumi compulsivi, di un’ansiosa competizione, del tormentoso impegno a raggiungere un successo).
Tutta una rilevazione di fatti e di dati che qualcuno vorrebbe, forse, poter anche analizzare più in profondità per attuare eventuali sofisticati cambiamenti come rimedi, a situazioni considerate anomale e devianti rispetto a propri calcolati obiettivi: per esempio, quelli di disporre, a basso costo, migliori risorse umane da impiegare nel proprio interesse o quelli di favorire un contesto socio-culturale che non si opponga a uno sviluppo industriale, anche se con forte impatto sull’ambiente e sulla salute umana (che è il prezzo da pagare per lo sviluppo dell’economia), o che non interferisca, proponendo alternative, con le esigenze strategiche di dominio e gestione economico-politica del mercato globale o che non contesti attese individuali di massimizzazione dei profitti. Opposizioni, interferenze e contestazioni che, in realtà, trovano fondamento nel pericolo che i «liberi» e autoreferenti condizionamenti dei nostri ambienti di vita, finalizzati solo a un fare le cose senza vincoli, possano incidere con prepotenza, sulle strutture sociali e culturali, delle comunità umane coinvolte, imponendo arbitrarie modifiche che annullano le loro identità e alterano profondamente le vocazioni dei loro territori. C’è qualcuno, infatti, che immagina si possano sintonizzare, con interventi meccanici, i comportamenti umani sulle finalità e i ritmi delle attività economiche di sfruttamento delle risorse di un territorio (delle quali si ritiene facciano parte anche le capacità umane espresse con il saper trasformare e costruire le cose).
L’idea di trasparenza può, dunque, creare anche ambigue suggestioni, può indurre a immaginare che sia sempre possibile un controllo, degli eventi e dei comportamenti umani, e che vi sia anche un modo per poterlo, poi, imporre come se fosse suggerito da un principio di bene, pur se non meglio identificato.