Oggi, siamo in una situazione ancora irrimediabilmente condizionata da modi di pensare e da comportamenti determinati dai consumi senza limiti ed eterodiretti dalla suggestiva potenza della loro offerta e dai relativi sprechi di energia e di risorse naturali. Tutta una realtà senza senso perché orientata solo a fare profitti fine a se stessi. Sembra diffusa la convinzione di poter immaginare la Terra come un vaso di Pandora che offre tutto (dalla ricchezza al consumo più inutile) a tutti quelli che si danno da fare (in vari e irresponsabili, se non proprio criminali, modi) per ottenere qualcosa o molte cose, fino a volere tutto, nell’attesa di avere ancora di più (con qualche lucroso artificio materiale o virtuale che sia).
Molti, oggi, sono impegnati a progettare riforme che possano governare quell’incontenibile fiume del «tutto e subito» preteso da interessi particolari che creano conflitti irrisolvibili e imprevedibili. Un cambiamento, di questi drammatici scenari, sarà però improbabile se tutti gli altri aspetteranno passivamente che avvengano indefiniti buoni cambiamenti, illudendosi su possibili miracolose riforme strutturali che si immaginano possano mettere in equilibrio le nostre energie e le risorse naturali malamente gestite. Dobbiamo essere consapevoli, invece, che la partecipazione, informata e responsabile, delle comunità umane alle decisioni è il passaggio nodale obbligato per promuovere un cambiamento fertile, capace di valorizzare le risorse e le vocazioni dei territori.
Se ciascuno, cioè, non parteciperà, alla messa in prova di proposte, sempre revisionabili (ma che siano anche alternative alle derive verso l’individualismo, la disgregazione sociale, la trasformazione delle relazioni e delle collaborazioni in competizioni, la mancanza di cura e di orientamento, consapevole e condiviso, della diversità, delle risorse materiali e immateriali a nostra disposizione), non sarà mai possibile attendere un progresso perché, di fatto, non viene cercato, perché non c’è un progetto e un lavoro di creazione di sinergie per andare oltre le speranze e la sola, semplice e impotente volontà delle singole persone. Non riusciamo a essere consapevoli su quanto, quel vortice del «fare le cose che capita di fare», sia capace di trascinare tutto verso un collasso globale (che certamente non rispetterà neanche le posizioni di vantaggio procurate, per sé, proprio da chi di tale collasso è fra i primi responsabili).
Una situazione che non esonera nessuno dalle proprie mancanze di responsabilità anche solo da quelle del non «essersi compromesso», perché «neutrale», ma diventando, così, con il suo tacere, sostanzialmente complice, di quell’indifferenza, di quella apparentemente innocua sonnolenza, che storicamente è stata sempre, in particolare nel secolo scorso, causa delle peggiori e tragiche scelte umane.
Abbiamo trovato una strada facile (per potenziare le nostre braccia e fare tutto e di più) nella disponibilità di fonti di energia accumulata in milioni di anni che continuiamo ad usare come se fossero inesauribili. Molti ci rassicurano ricordandoci che l’avanzare del «fare le cose», che caratterizza lo sviluppo dell’economia, non si è mai fermato, fin dall’invenzione della ruota (illudendoci, di fatto, su un futuro che dovrebbe semplicemente continuare come benefica proiezione del passato e riproducendo, così, l’equivoco di un progresso umano fatto coincidere con avvilenti meccanismi economici e tecnologici che, di tale progresso, sono, invece, solo strumenti).
Non ci stiamo accorgendo che, dopo aver scartato tutti i regali, che la natura ha messo a disposizione di tutte le generazioni umane (non solo di quelle dell’attuale civiltà dei consumi), non solo stiamo andando verso l’esaurimento dei regali, ma siamo sempre più sommersi dal degrado dei loro rifiuti diventati ingestibili per la loro velocità di produzione, per la loro dimensione e per la loro complicata composizione. Abbiamo distrutto risorse, ma anche quel contesto di equilibri che avrebbe permesso di controllarne la disponibilità e di valorizzale, anche nei tempi delle future generazioni umane. Lo spreco, generato dagli attuali modelli di vita, non pesa solo sulla qualità, ormai perduta, dei prodotti della terra e del mare, ma pesa soprattutto sulla qualità della nostra vita relazionale e sulla capacità sempre meno esercitata, di rendercene conto. Siamo uomini sempre meno in grado di riflettere, di confrontarci, di scegliere, di decidere, di creare sinergie umane, di cercare il senso delle cose e di riconoscere e valorizzare quelle strade, offerte dalla condivisione delle nostre esperienze, indispensabili per costruire il nostro «essere se stessi».
Dovremmo chiederci come e perché vengono meno le nostre consapevolezze, la nostra autonomia e la nostra capacità di essere socialmente partecipativi e responsabili delle nostre visioni del mondo, delle condivisioni dei nostri progetti, delle nostre scelte sui modi di pensare e di metterci in relazione con i fenomeni naturali (quelli umani compresi).