Come recuperare il terreno perduto

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L’Italia deve imparare a discutere di energia sugli stessi dati che tengono ben presenti i propri concorrenti.

Nello special report su Energy and Technology dell’«Economist» del 17 gennaio 2015, il nucleare viene definito «a source of cheap, dependable, constant electricity». Da sottolineare la traduzione di «dependable», che vuol dire che il nucleare è «affidabile e sicuro». Però, aggiunge l’«Economist», «its perceived danger» (da notare: il suo rischio «percepito» dalla gente, non certo dagli statistici come lo è Umberto Veronesi, che le scorie nucleari coibentate le metterebbe tranquillamente in camera da letto, mentre ha paura ad aprine le finestre nelle nostre città italiane, le più cancerogene d’Europa insieme a quelle greche, N.d.A.) «its perceived danger makes it unpopular in some European countries» «il suo percepito pericolo lo rende impopolare in alcuni Paesi europei». Esattamente in tutti quelli che vanno peggio. La Grecia, abbiamo visto sopra, è il Paese più anti-nucleare di tutti, e sta seriamente pensando di passare dall’orbita dell’Ue a quella russa. Grazie agli idrocarburi russi allevierebbe i suoi problemi energetici, e forse pure quelli economici. Se non vogliamo fare quello stesso passaggio, sarà meglio che riflettiamo sui dati su cui riflettono quelli che in Ue invece si sentono a loro agio.
Agli italiani, per capire cosa non va negli ultimi decenni della propria storia, e come rimediarvi, servirebbe capire cosa hanno fatto ad esempio negli ultimi 5 anni i 3,5 milioni di lituani. Che stanno entrando nell’Euro dal 1° gennaio 2015, spavaldamente, forti della propria crescita economica, ora superiore al 4%, cioè ai massimi europei. Cosa che potremmo riconquistare anche noi italiani, se solo ci degnassimo di capire che anche ai lituani è successo pari pari quel che è successo a noi, anzi peggio
Nel 2009 hanno avuto anche loro una terribile crisi finanziaria, rischiando anche loro di affogare negli interessi sul debito come noi nella seconda metà del 2011. Il loro Pil crollò allora del 15%, la disoccupazione salì al 18%, ed il Governo fu costretto a tagliare la spesa pubblica del 10,5%, più di qualunque altro Paese europeo. Hanno anche tagliato il loro deficit dal 9,3 al 2,6 del Pil. Molto più che qui Monti e Fornero. Come mai dunque non vanno peggio di noi? Qui tutti credono che noi rifioriremmo se la Merkel ci lasciasse fare l’esatto contrario di loro.
All’origine del loro disastro vediamo una vicenda molto simile alla nostra, sebbene in tempi più compressi, quindi più facili da capire. In quello stesso 2009 la Lituania ha chiuso il suo ultimo reattore nucleare, che era ancora di costruzione sovietica, maledettamente simile a quello di Chernobyl: a grafite, incendiabile con un semplice gesto come quello che i futuri oligarchi russi, provenienti dal Kgb ed impadronitisi dapprima della produzione petrolifera, poi di quella nucleare, imposero ad un ignaro impiegato neo-trasferito a tale centrale. Anche i Lituani hanno votato contro il nucleare in un referendum lanciato da alcuni loro politici.
Ma la differenza fra loro e noi iniziò proprio da quel referendum. Intanto perché fu subito ammesso e riconosciuto il suo carattere necessariamente consultivo, non decisionale, in forza del Trattato Euratom che anche la Lituania, come tutti i Paesi membri dell’Ue, aveva dovuto sottoscrivere all’ingresso. I Lituani lo hanno capito bene perché la chiusura stessa del loro ultimo reattore fu imposta proprio dall’Euratom, che impegna sì i contraenti a «dotarsi di una industria nucleare potente» però anche sicura. E soprattutto, gli argomenti contro la dipendenza dagli idrocarburi hanno potuto svilupparsi progressivamente con la percezione dell’accresciuta invadenza russa.
Ponendo le domande in modo diverso da quelle referendarie proposte dai socialdemocratici lituani, ma soprattutto diverse da quelle demenziali e mistificatorie poste dai due referendum italiani, le indagini effettuate sia da Eurobarometer sia da un istituto statale nazionale lituano hanno confermato già dal 2009 la prevalenza dell’orientamento favorevole ad una produzione nucleare sicura. Così una coalizione di sette partiti lituani, maggioritaria, ha potuto sottoscrivere un accordo per l’indipendenza energetica, imperniata non più sulle forniture russe, bensì sulla interconnessione con gli altri Paesi baltici, tutti filo-nucleari, e l’avvio della costruzione di un primo, nuovo potente reattore in Lituania stessa, il Visaginas 1, già dal 2015, capace di 1.350 Megawatt, cioè 200 Megawatt più di quello spento nel 2009. Questo impegno, come già accadde a noi col piano di rilancio del nucleare nel 2009, ha portato gli interessi sui prestiti alle loro imprese al di sotto di quelli pagati dalle imprese tedesche, e rilanciato l’economia.
Venendo più vicino al tema del solare, ci servirebbe confrontare come lo hanno trattato i sudcoreani, che a noi italiani hanno venduto massicciamente i loro pannelli solari (specialmente Samsung) nell’ultima dozzina di anni, senza però montarli a casa propria, dove hanno sistematicamente preferito il nucleare. Nello stesso periodo la loro economia è passata da un quinto della nostra sino a pareggiarla e superarla.

D’altra parte, solare ed eolico, per adesso, in quanto intermittenti, hanno problemi di stoccaggio. Non si tratta certo di osteggiare la soluzione di tali problemi.
In particolare l’Italia, dovendo adottare massicciamente (non tanto l’eolico, perché qui il vento proprio non è sufficiente) però il solare, dovrà anche adattarsi a due condizioni:
– rinunziando ulteriormente alla sua industria manifatturiera energivora, e convertendosi ancora più di quanto non stia già facendo alle produzioni di lusso, in cui i costi finali non sono rilevanti, anche se altissimi;
– avendo plasmato la sua mobilità non secondo il modello europeo avanzato, cioè come collettiva, su ferro, da elettricità di sorgente nucleare, bensì come motorizzazione privata individuale su gomma da petrolio, l’Italia potrebbe adesso adottare massicciamente le auto elettriche, trasformando le loro batterie in stoccaggio del solare proveniente dai tetti di casa e dei luoghi di lavoro. Come think tank Trinità dei Monti stiamo proponendo uno sforzo progettuale in tal senso al Viceministro ai trasporti Riccardo Mancini, all’interno della topica europea «smart cities».

Schierarsi semplicemente a favore delle rinnovabili, opinione che tanti italiani credono bastare, non basta affatto a farci uscire dall’abisso in cui stiamo affondando.