La Commissione europea è diventata attivamente responsabile di questo scisma cognitivo

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Varie azioni finanziate dall’Ue sono state dedicate a migliorare l’interazione fra gli sviluppi nucleari e le popolazioni che stavano loro attorno, ad es. Karita; Cowam (finanziato in varie fasi: Cowam, Cowam 2 e Cowam in Practice, tutti i report sono disponibili sul sito Cowam); Argona; Ippa; Pipna, ecc., normalmente coinvolgendo un ampio numero di parti, più o meno organizzate, di tali società civili, partendo dalla loro vicinanza geografica alle infrastrutture nucleari, ed arrivando sino al livello nazionale.

Alcuni hanno pure tentato di coinvolgere organizzazioni internazionali (ad es. nell’ultimo citato progetto Pipna: Ensreg, Eesc, Foratom, Etson, Eurocli, e le maggiori Ngo o federazioni coinvolgenti attori della società civile a livelli Ue come Anccli o Gmf insieme ad iniziative come Aarhus Convention and Nuclear – Acn ed Enef).
Ma nessuno di questi progetti ha tentato di scalfire la disinformazione nei Paesi anti-nucleari, così da contrastare due tendenze divergenti che sono state rilevate da Eurobarometer: «I cittadini nei Paesi che hanno centrali nucleari sono considerabilmente più propensi a sostenere l’energia nucleare che non i cittadini negli altri Paesi (In grassetto nel testo di Eurobarometer). Che esiste un forte legame fra queste due variabili – sostegno all’energia nucleare e presenza di centrali di energia nucleare nel Paese di appartenenza – è chiaramente enfatizzato dal fatto che tutti i Paesi che dimostrano un forte sostegno, sopra la media, per l’energia nucleare hanno in effetti centrali nucleari. Il sostegno più forte viene trovato nella Repubblica Ceca ed in Lituania, ma anche in Ungheria, Bulgaria, Svezia, Finlandia e Slovacchia sei, o più, su dieci intervistati rispondenti sono in favore della produzione di energia da centrali nucleari (…) Il sostegno più basso per l’energia nucleare, d’altra parte, viene chiaramente trovato nei Paesi che non hanno centrali nucleari. La percentuale minima di sostegno viene trovata in Austria, Cipro e Grecia, con circa otto su dieci rispondenti che confermano che sono contrari a questo tipo di energia». (Citato da pagina 6 del Rapporto Eurobarometer)
Col passare degli anni, e dei progetti finanziati da Euratom a loro destinati, le società civili dei Paesi che hanno centrali nucleari aumentano il loro favore verso il nucleare, mentre quelle che non hanno il nucleare aumentano la propria opposizione sia alle centrali nucleari sia ai depositi di scorie radioattive. Questa spaccatura è stata anche riconosciuta nel Rapporto 2010 di Nea, Agenzia energia nucleare Dell’Ocse-Oecd, nel Report su «Atteggiamenti sociali verso l’energia nucleare» e, con la solita divergenza dal nostro gruppo, s’è ampliata dopo l’incidente di Fukushima (Vedere ad es. lo studio in UK).

In alcuni casi questa spaccatura è già cresciuta sino a mettere in discussione, se non già a rischio, l’intera costruzione europea, come ad es. nella causa presso la Corte di Giustizia europea sulla centrale nucleare Ceca di Temelin vicino al confine dell’Austria, che conta su tanto idroelettrico per i suoi otto milioni di abitanti quanto ne abbiamo noi in Italia con sessanta milioni. Però l’idroelettrico non è ampliabile oltre i suoi limiti: il bisogno di allocare una nuova centrale nucleare vicino al confine con un Paese non-nucleare, in quanto potenzialmente e poi effettivamente bisognoso della sua produzione, è strutturale, ma la popolazione dell’altro Paese, se resta anti-nucleare in quanto privo delle informazioni di cui è stato dotato dai progetti Euratom il Paese nucleare e filo-nucleare, può interpretare quest’allocazione come il modo malizioso di dimezzare il territorio nazionale minacciato da un possibile incidente, senza dimezzare i ricavi.
Analogamente, questi rigetti motivati ambientalmente nei Paesi anti-nucleari non vengono di solito comparati con altre scelte ambientalmente negative, come la tipica preferenza di parecchi di questi medesimi Paesi per la motorizzazione privata individuale su gomma, alimentata da idrocarburi, invece del trasporto pubblico su ferro, alimentato da elettricità sostenibile senza emissioni di pericolosi inquinanti e di gas serra, come regolarmente preferito dai Paesi filo-nucleari. Le polveri sottili emanate purtroppo dalla prima delle due scelte modali sono direttamente cancerogene, e pure altamente radioattive.
Come documentato nel convegno «Nuclear Italy. Storia internazionale del nucleare italiano» anche la storia dell’Enel, istituito negli stessi giorni della tragica morte di Mattei, mostra una progressiva «transizione energetica» dalla preferenza per la sorgente nucleare di elettricità (nei progetti precedenti la morte di Mattei), verso le sorgenti fossili, specialmente idrocarburi, preferiti dopo la morte di Mattei. Il quale avrebbe voluto fondere Eni ed Enel in un unico Ene, Ente nazionale energia. Dopo la sua morte le ferrovie italiane cominciarono a «tagliare i rami secchi», le nostre città sradicarono le rotaie dei tram, mentre la Francia e gli altri Paesi pro-nucleari sceglievano proprio quella mobilità collettiva su ferro da elettricità da sorgente nucleare, considerata la più sostenibile anche ambientalmente.
Ho potuto personalmente constatare che, parallelamente, i nostri istituti di Paesi anti-nucleari venivano bene accolti nei progetti europei dedicati a guidare meglio, mantenendo la propria prevalente motorizzazione privata individuale su gomma da petrolio, mentre non venivamo graditi nei progetti dedicati a cambiare la scelta modale nell’altra direzione, della mobilità collettiva su ferro da elettricità da sorgente sostenibile. Ho illustrato questa discriminazione anche come relatore in vari documenti di Osservazioni e Proposte del Cnel. Come risultato di questa scelta modale divergente, basta aprire Google-maps per vedere come le città italiane si sono sviluppate lungo le strade, in forma di polipo, mentre quelle dei Paesi filo-nucleari si sono compattate attorno alle stazioni ferroviarie.
L’efficienza economica ed il livello di vivibilità delle nostre città ne ha molto sofferto: ad es., la media degli spostamenti giornalieri nelle città italiane resta ancorata ai due, mentre in quegli altri Paesi può raggiungere i quattro. I progetti europei Escape hanno documentato le scie di morti inflitte alle nostre città da queste scelte per le sorgenti fossili, di gran lunga le maggiori alternative al nucleare, molto più che le cosiddette, molto eufemisticamente, energie alternative.
La Commissione europea si lava le mani per queste nostre scelte radicalmente scismatiche, come non fossero condizionate dalla nostra esclusione dai progetti da essa assegnati solo ad alcuni altri Paesi.
La Iea (Agenzia internazionale per l’energia), un organismo dell’Ocse con sede in Parigi, ha pubblicato nel 2008 una rassegna della così differenziata politica energetica dell’Ue. A pagina 27 tale rassegna, basata su una visita alla Commissione europea, dichiara che: «Riconoscendo le sensibilità riguardanti alcuni aspetti della politica energetica in alcuni Paesi membri, le azioni Ue di politica energetica hanno sempre rispettato, e continueranno a rispettare, due principi: primo, che gli Stati membri sono ultimativamente responsabili per il loro mix energetico nazionale; e, secondo, che le risorse energetiche indigene sono una risorsa nazionale, non Europea». In effetti, sarebbe difficile cambiare le «sensibilità» di qualunque popolo, anche infra-nazionale come lo Scozzese, che è tentato di staccarsi dal Regno Unito proprio perché considera i propri idrocarburi come «risorse energetiche nazionali». E neppure è questo uno scopo del Trattato Euratom; ma è possibile, ed anche uno scopo dei trattati fondanti la costruzione europea, non aumentare quel tipo di sensibilità circa la capacità di fare scelte «indigene» nelle sorgenti energetiche, contrapposte alle scelte di altri Stati membri. Questi atteggiamenti sociali soggettivi, neppure dopo che siano stati ratificati da democratici referendum, non dovrebbero essere lasciati inclusi sotto il significato di obiettive «risorse energetiche».
Secondo la Commissione, siamo noi italiani ad aver voluto ignorare come sia morto Mattei, siamo noi ad avere lasciato sparire dimenticati tutti quelli che hanno provato ad interessarsene: il giornalista Mauro De Mauro, il giudice Scaglione saltato in aria il giorno prima di depositare quanto De Mauro gli aveva confidato di aver scoperto, poi Pier Paolo Pasolini, massacrato mentre stava mandando a stampa «Petrolio», senza riuscire ad includervi il capitolo «Lampi sull’Eni», ma ufficialmente lo consideriamo ancora massacrato da Pelosi; siamo noi ad aver liquidato il Cnen ed il suo presidente Felice Ippolito, anzi abbiamo premiato con due presidenze della Repubblica (e del Csm) i suoi due accusatori, Giuseppe Saragat e Giovanni Leone; siamo noi ad avere liberamente eletto quei parlamentari che hanno scagionato i propri partiti politici destinatari dei fondi scoperti dai due «scandali dei petroli»; e così via. Quindi la stessa Commissione si sente in dovere di non disturbare queste nostre libere scelte, e dunque di non infliggerci, attraverso la menzionata serie di progetti europei, quelle «conoscenze tecniche» da noi stessi volontariamente rifiutate.
Del resto la Commissione è generosissima con gli italiani, proprio come abbiamo visto nei progetti europei sul guidare meglio, così anche sui progetti miranti al futuribile nucleare da fusione, adottato come fattibile, anzi, prioritario ed urgente, per la prima volta nella sede milanese della Democrazia cristiana, proprio nel periodo fra i due scandali dei petroli, mentre i francesi iniziavano a costruire 50 centrali nucleari da fissione in un solo decennio.

3. Un tentativo italiano di individuare l’origine dello scisma viene boicottato dalla Commissione