Viterbese, i noccioleti soffocano la biodiversità

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Un recente impianto nel territorio di Sutri
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Per alcuni abitanti della zona le coltivazioni sono una benedizione, per altri è invece una maledizione poiché vengono usati ed abusati pesticidi e diserbanti, che minacciano la salute degli animali e delle persone. Passeracei ed altri uccelli stanziali sono fortemente diminuiti perché avvelenati e stanno scomparendo api ed altri insetti impollinatori. Prezzi alle stelle impediscono la nascita di un’agricoltura alternativa

Un secolo fa chi transitava per la Tuscia la descriveva come una terra incantata, ricca di boschi lussureggianti, di campagne con ogni tipo d’albero da frutto, con vasti vigneti e rigogliosi oliveti e poi orti a non finire e prati con armenti al pascolo. Un’immagine idilliaca che oggi è scomparsa. Oggi chi transita sulle strade del triangolo Viterbo-Campagnano-Blera incontra monotone distese di arbusti che producono nocciole. Si salva ancora qualche residuo della vecchia foresta Cimina e qualche altro antico bosco comunque assediato da noccioleti, che aspettano il momento opportuno per sostituirsi a roverelle, lecci, faggi ed altri meravigliosi alberi.
La campagna viterbese si è ormai trasformata in una industria che produce nocciole. Per alcuni abitanti della zona è una benedizione, perché tante nocciole vogliono dire tanta ricchezza, per altri è invece una maledizione poiché vengono usati ed abusati pesticidi e diserbanti, che minacciano la salute degli animali e delle persone.
Sta di fatto che molti passeracei ed altri uccelli stanziali, che in passato allietavano le campagne viterbesi, sono fortemente diminuiti perché avvelenati. Per lo stesso motivo stanno scomparendo anche le api ed altri insetti impollinatori. Anche le rondini in primavera e in estate si tengono lontane dai noccioleti. Resistono solo i corvi, i cinghiali e gli insetti parassiti immuni ai veleni dell’uomo. Di questa situazione le organizzazioni ambientaliste che operano nella Tuscia ne prendono atto. Non possono fare altro che ricordare agli agricoltori che la monocoltura impoverisce i terreni e distrugge la biodiversità e l’uso di prodotti chimici minaccia anche la salute umana.

A questo punto c’è anche una realtà che esula da quella naturalistica, ma che è pur sempre importante: è diventato impossibile acquistare, ai prezzi di mercato nazionali, terreni seminativi per chi volesse fare una agricoltura alternativa e svincolata da prodotti aggressivi e dannosi nei confronti del suolo (pesticidi, diserbanti, fertilizzanti). Acquistarli all’interno del «triangolo d’oro del nocciolo» è ormai una cosa molto difficile perché sono diventati tra i più costosi d’Italia. Si parla infatti di cifre da capogiro, terreni seminativi che fino ad un paio d’anni fa costavano sui 20mila euro ad ettaro, nel 2015 sono lievitati (in maniera stabile) a 40-45mila euro ad ettaro. Inoltre tale cifra potrebbe ulteriormente salire a causa del recente accordo fatto dalla Regione Lazio con Ferrero e Ismea, relativo all’impianto di circa 10mila nuovi ettari di noccioleti.
A conferma che è ormai difficile trovare terreni a prezzi ragionevoli, diversi ricchi coltivatori di nocciole viterbesi hanno iniziato ad acquistare terreni fuori del triangolo d’oro e in alcuni casi addirittura in Albania, Romania ed altri Stati dell’ex Urss.

Il danno fin qui per alcuni e forse solo per l’ambiente naturale e in parte per il turismo naturalistico, ma non è così: a lungo andare i terreni trattati con massicci prodotti chimici inizieranno a non rendere più e, allora, serviranno ancora e ancora fertilizzanti, in parte ricavati dal petrolio, per garantire una certa produzione di nocciole.

Lo scorso anno l’assessorato della Salute della regione Lazio diramò uno studio fatto dal loro istituto di indagine epidemiologica sull’incidenza dei tumori nella Tuscia. Ne uscì un quadro allarmante che in alcuni casi si può collegare all’avvelenamento di suoli ed acque, causato anche dall’uso improprio di prodotti chimici in agricoltura.
Cosa fare a questo punto? Sperare che la Regione Lazio, più volte sollecitata dalle organizzazioni ambientaliste viterbesi su questo problema, imponga agli agricoltori più attenzione nell’uso di prodotti chimici nelle loro colture, premiando, se necessario, chi invece con responsabilità ed etica ambientale inizi a bandire ogni tipo di veleno chimico, sostituendolo con sistemi naturali compatibili con l’ambiente e la salute dell’uomo.