250 metri quadrati di striscioni posti sulla piattaforma Agostino B. Nessun controllo sull’inquinamento di 100 piattaforme. Il caso al largo delle coste di Pozzallo. «Non si tratta di una presa di posizione politica, perché un ordine professionale rappresenta tante anime con sensibilità proprie. Ma i biologi, che sono gli scienziati della vita in senso lato, segnalano che se i combustibili fossili dovessero venire a contatto con l’ambiente marino, si genererebbe un danno al suo ecosistema»
> Si mobilita la società civile
Il tempo stringe, i mezzi di comunicazione tradizionali non aiutano e Greenpeace accelera sul mettere in campo iniziative che possano informare gli italiani circa il referendum che il prossimo 17 aprile deciderà se aprire le porte alle energie rinnovabili o, di contro, continuare a credere in un futuro fatto di combustibili fossili, inquinanti, sporchi e pericolosi per l’ecosistema intero.
Un team di attivisti è entrato in azione presso la piattaforma Agostino B, una delle piattaforme più inquinanti tra quelle di cui Greenpeace è riuscita ad ottenere i dati dal ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm), al largo di Marina di Ravenna.
250 metri quadrati di striscioni posti sulla piattaforma dove si legge: «Stop trivelle» e «17 aprile vota Sì».
Non è l’unica azione voluta nelle ultime ore da Greenpeace che ha anche presentato in 30 procure della Repubblica un esposto contro le «trivelle fuorilegge» nel quale sono stati resi pubblici, per la prima volta, i piani di monitoraggio di 34 impianti di proprietà di Eni, svelando che in tre casi su quattro questi impianti non operano nel rispetto degli standard di qualità ambientale stabiliti dal Mattm.
Facendo istanza pubblica di accesso agli atti, Greenpeace aveva infatti ottenuto dal Mattm i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà Eni, pochi dati, e ci si chiede dove siano gli altri, visto che secondo il censimento del ministero dello Sviluppo Economico (Mise) gli impianti operanti nei mari italiani sono in realtà 135.
E dallo studio di questi dati viene fuori che nell’area marina intorno alle piattaforme sono presenti inquinanti in concentrazioni che spesso eccedono i valori limiti previsti dalle norme.
Proprio la piattaforma Agostino B, http://www.greenpeace.org/italy/Global/italy/report/2016/Scheda_Agostino_B.pdf oggetto della protesta pacifica di Greenpeace, è una piattaforma in funzione da 45 anni che oggi produce circa un quindicesimo di quanto produceva nel 1980 eppure le concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) registrate nei sedimenti che la circondano hanno superato i valori degli Standard di qualità ambientale (identificati dal DM 56/2009) per ben 11 inquinanti nel 2011 e per 12 inquinanti sia nel 2012 sia nel 2013.
L’Eni, in una nota ha fatto sapere che le piattaforme di cui non si conoscono i dati «non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire».
L’Associazione ha stigmatizzato che l’informazione non sia arrivata dal Ministero ed ha detto che «riguardo alla mancata necessità di controllare le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione, Greenpeace segnala il caso (portato alla luce nelle scorse ore da “S”, il mensile di Live Sicilia) di 500mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina che sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo. I dati relativi a questo disastro ambientale verrebbero da un dossier di Ispra, al centro di un procedimento penale della Procura di Ragusa. Gli inquirenti ipotizzano “gravi e reiterati attentati alla salubrità dell’ambiente e dell’ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi“. Secondo Ispra la miscela smaltita illegalmente in mare contiene “metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e Mtbe” e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico. “La natura particolare delle matrici ambientali danneggiate”, secondo Ispra, non potrà essere riportata “alle condizioni originali”».
E intanto l’Ordine nazionale dei biologi (Onb) si esprime a favore del sì sul referendum bloccatrivelle che ha l’obiettivo di impedire che le concessioni per le estrazioni di idrocarburi entro le 12 miglia marine durino senza limiti di tempo.
Ermanno Calcatelli, presidente dell’Onb, spiega: «Non si tratta di una presa di posizione politica, perché un ordine professionale rappresenta tante anime con sensibilità proprie. Ma i biologi, che sono gli scienziati della vita in senso lato, segnalano che se i combustibili fossili dovessero venire a contatto con l’ambiente marino, si genererebbe un danno al suo ecosistema».
Al riguardo, l’Ordine dei Biologi sostiene che sia necessario preservare gli habitat marini con un’economia attenta alla biodiversità e alla tutela dell’ambiente.
In definitiva, l’Italia il 17 aprile è chiamata a scegliere se avviare una rivoluzione energetica che permetta di liberarsi dai combustibili fossili o non investire in un futuro che si muova ad energie pulite e questo avendo la consapevolezza, dati alla mano, che le circa 90 piattaforme interessate dal referendum sono strutture vecchie, improduttive, che versano spiccioli nelle casse pubbliche, impiegando pochissimi lavoratori e disperdendo inquinanti in mare.