Due ragioni per votare «Sì» al referendum sulle trivelle

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Favorevoli o contrari alle trivelle, votare a un referendum è un segno di rispetto per coloro che hanno sacrificato la propria vita per concederci questo diritto. Votare «Sì» a questo quesito è un segno d’intelligenza di un popolo che è in grado di agire per cambiare la propria vita prima che la propria vita cambi… in peggio

50 scienziati per il «Sì» al referendum

Il referendum del 17 aprile «sulle trivelle» è stato definito in molti modi. Dovendo seguire il dibattito sulle politiche del Belpaese da una certa distanza, più che di «toccare con mano» le varie idee dei cittadini, mi è capitato di leggere i più disparati pareri e le più assurde opinioni in merito. Ho letto della geologa disoccupata che dichiara che le trivelle nel Mediterraneo estraggono prevalentemente gas, come se questo non fosse altro che un sottoprodotto dell’estrazione petrolifera (perché non sa, il che significa che dovrebbe rifrequentare l’università, o perché finge di non sapere, il che significa che dovrebbe smettere di influenzare l’opinione pubblica?). Mi sono imbattuto nel giornalista che sarebbe dispiaciuto di fare un giro in barca nella sua amata costiera romagnola senza più trovare le piattaforme petrolifere, sostituite dalle (a suo dire) terribili pale eoliche per l’energia rinnovabile (il che significa che si è orbi oppure che l’industrializzazione ha offuscato i pensieri di molti). Ho persino approfondito le ragioni di una storica associazione ambientalista che invita all’astensionismo perché «abbiamo ancora bisogno dei combustibili fossili».

Poiché, d’altra parte, molti altri hanno già espresso le ragioni del «Sì» argomentandole approfonditamente, il mio intervento sarà breve e si baserà su due semplici motivi per cui ritengo sia necessario votare (ed esprimere quel «Sì» che permetterebbe la chiusura delle piattaforme al termine della concessione).

Invitare a non votare è immorale

La prima, semplicissima, ragione è che coloro che invitano all’astensionismo hanno scarsa memoria storica (e, mi sbilancio, anche poca moralità). Il diritto al voto è stato ottenuto negli scorsi secoli da persone coraggiose che si sono battute contro dittatori, governanti e governi vari perché i cittadini potessero esprimersi in merito a rilevanti decisioni riguardanti le politiche del proprio paese. Molti di questi paladini della democrazia hanno perso la vita per garantire a noi, oggi, in quella che definiamo democrazia, la possibilità di esprimerci a favore o contro politiche di governo rilevanti per la nostra vita. La possibilità di far sentire la propria voce (come accade in Italia per l’abrogazione delle leggi ordinarie con i referendum) consegna nelle mani del cittadino quel minimo di potere democratico strappato via dai molti politici corrotti e al soldo delle multinazionali che non svolgono più il ruolo di rappresentanti degli interessi dei cittadini per cui sono, lautamente, pagati.
Invitare a non utilizzare uno strumento democratico conquistato con il sangue e il sudore di gente coraggiosa, di connazionali idealisti, di illuminati difensori dei diritti umani è quanto di più immorale si possa fare. Perché se è vero che l’astensione è, per ovvie ragioni, concessa, non vuol dire che debba essere incentivata. È come aver lottato per decenni per il diritto al cibo e, ritrovandosi dinanzi a quel tozzo di pane, finalmente garantito dalla legge, decidere di buttarlo via invece di mangiarlo o donarlo a qualcun altro. L’astensionismo non è un espressione di voto, al contrario di quanto affermano coloro che temono i risultati (ovviamente contrari alle proprie opinioni) dei referendum. Questo malsano gioco alla non espressione democratica della propria opinione è stata la ragione del fallimento dei referendum sulla caccia e sull’impiego dei fitofarmaci nel 1990, motivo per cui oggi continuiamo ad assistere alla strage della fauna selvatica e al massiccio impiego di composti cancerogeni in agricoltura nonostante oltre l’80% degli italiani sia contrario a entrambi.

La seconda ragione è meno generale e riguarda il quesito referendario in particolare. Si è detto che il «Sì» al referendum non fermerà tutte le trivellazioni. È vero, solo quelle entro le 12 miglia nautiche. E con questo? Se il quesito referendario chiedesse ai cittadini se vogliono impedire l’inquinamento atmosferico entro 3 kilometri dalle città, ci sentiremmo invitati a non votare o essere contrari perché questo non eviterebbe l’inquinamento nelle aree rurali oltre i 3 km? Certamente no! Voteremmo e la maggioranza sarebbe a favore del provvedimento, perché si tratterebbe comunque di un (primo) passo importante contro l’inquinamento atmosferico.
Si è anche detto che la chiusura al termine delle concessioni non permetterà l’estrazione sino all’esaurimento del gas e del petrolio nei fondali e questo comporterebbe un danno all’economia italiana. È proprio qui il nodo gordiano. Non bisogna nascondersi dietro la necessità d’importazione una volta che le piattaforme saranno smantellate perché questa è solo la solita, deprecabile, scusante proposta per non agire dinanzi a un problema. Stessa solfa di: siccome non vogliamo che l’olio di palma venga acquistato da paesi insensibili alle problematiche ambientali, lo certifichiamo con un marchio di sostenibilità risibile e inefficace, ma almeno continuiamo a importarlo in Italia. Quale assurdità! Così danneggiamo gli italiani, le foreste asiatiche e il mondo intero…
Inquinamento e mutamenti climatici sono due facce della stessa medaglia, quindi anche coloro che non «credono» alla responsabilità umana degli attuali sconvolgimenti del clima dovrebbero comunque essere a favore di una riduzione delle emissioni perché le stesse centrali alimentate a gas, carbone e petrolio, oltre a CO2 e CH4, contribuiscono a emettere in atmosfera sostanze direttamente pericolose per l’ambiente e cancerogene per l’uomo.
L’era dei combustibili fossili, come tutte le altre ere, non finirà con l’esaurimento di carbone, gas e petrolio. Se, pertanto, permetteremo per i prossimi decenni l’estrazione e l’utilizzo di combustibili non rinnovabili (almeno su scala umana) sino al loro esaurimento, è altamente probabile che non potrà esserci la successiva era delle rinnovabili, perché gli effetti dei cambiamenti climatici saranno così devastanti (innalzamento del livello dei mari, uragani, desertificazione, perdita di biodiversità, incendi, etc.) che ben poco potrà esser fatto allora. Se già in questo preciso momento smettessimo di emettere i gas ad effetto serra prodotti con la combustione fossile in tutto il pianeta, avremmo comunque ripercussioni per i prossimi due secoli. Se continueremo a usare fonti fossili anche solo per qualche altro decennio, giusto per avere il tempo (o la volontà politico-economica?) di passare alle rinnovabili, come dicono i benpensanti dell’astensionismo, gli sconvolgimenti climatici saranno così elevati che non avremo più occasione nemmeno per portare ad esaurimento i combustibili fossili. L’esistenza dei nostri figli e nipoti sulla Terra sarà così minacciata che l’impiego massiccio di energia rinnovabile sarà solo un’inutile presa in giro. Come aggrapparsi a un salvagente che si sgonfia, naufraghi in mezzo all’oceano.
Il segnale che arriverebbe, invece, da un netto «Sì» al blocco delle trivellazioni, non appena scadute le concessioni, sarebbe invece un segnale inequivocabile per questo e i successivi governi: gli italiani sanno bene che c’è ancora altro gas e petrolio in fondo ai nostri mari, ma preferiscono lasciarlo lì, ridurre i consumi e passare immediatamente alle fonti rinnovabili prima che sia troppo tardi (e non è assolutamente vero che se alimentassimo il paese, proprio quell’Italia che ha sole e vento ovunque, mediante celle fotovoltaiche e pale eoliche non avremmo abbastanza energia; in effetti è già successo che in alcuni giorni la produzione di energia rinnovabile in Italia abbia superato la domanda).

L’urgenza di voltare pagina

Quindi è solo questione di volontà, non di praticità. Dipende da quale segnale i cittadini italiani vogliono mandare al proprio governo. L’uomo, si sa, è una specie ingegnosa, ma pigra. Se da domani non avessimo la possibilità di usare combustibili fossili, in meno di 24 ore troveremmo il modo per alimentare buona parte dei nostri congegni, fabbriche e reti elettriche con fonti di energia alternativa. Siccome però siamo pigri, pur sapendo che non è rimasto più tempo per cambiar rotta e smetterla di sconvolgere il clima sul pianeta, continuiamo ad attendere che siano le risorse della Natura a finire prima di fare qualcosa. Potremo attendere la fine degli uccelli fino a quando un prossimo referendum sulla caccia non ci permetterà di votare e raggiungere, stavolta sì, il quorum?
Per una volta l’uomo dimostri che può agire senza aspettare che le risorse naturali si esauriscano prima di iniziare a trovare le alternative. Perché il rischio serio è che potrebbe essere ormai troppo tardi…
Favorevoli o contrari alle trivelle, votare a un referendum è un segno di rispetto per coloro che hanno sacrificato la propria vita per concederci questo diritto. Votare «Sì» a questo quesito è un segno d’intelligenza di un popolo che è in grado di agire per cambiare la propria vita prima che la propria vita cambi… in peggio.

 

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato in Ecologia e Biodiversità, Tomsk State University, Russia