Evidenziata per la prima volta in Italia, nella zona del Pollino, la presenza di movimenti lenti di faglia durante le sequenze di terremoti di bassa magnitudo che contribuiscono a spiegare perché, rispetto al resto dell’Appennino, in quest’area i terremoti di magnitudo più elevata sono meno frequenti
Mappa della velocità di deformazione del suolo nella zona del Pollino tra il 2012 e il 2014. I punti colorati rappresentano le misure radar effettuate dal satellite. Le zone in verde sono ferme; quelle in rosso si allontanano dal satellite con una velocità media di circa 2,5 cm all’anno; le zone in azzurro si avvicinano al satellite con velocità media di circa 1,5 cm all’anno.
Durante la lunga sequenza sismica che ha interessato il Pollino dal 2010 al 2014, non si sono verificati solo terremoti ma anche dei lenti e continui scorrimenti di faglie privi di attività sismica. A svelarlo per la prima volta lo studio appena pubblicato sulla rivista «Scientific Reports» di «Nature» di un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dell’Istituto per il rilevamento elettromagnetico dell’ambiente del Consiglio nazionale delle ricerche (Irea-Cnr) in collaborazione con il Dipartimento della protezione civile. I risultati della ricerca gettano una nuova luce sulla sismicità in epoca storica nell’area del Pollino.
«Negli ultimi anni – spiega Daniele Cheloni, ricercatore Ingv e primo autore del lavoro – è stato evidenziato che le sequenze sismiche di terremoti di bassa magnitudo sono spesso accompagnate da scorrimenti asismici, anche se la mancanza di un numero sufficiente di misure di deformazione del suolo durante tali sequenze ha impedito, finora, la verifica di questa ipotesi nell’area italiana».
I terremoti, come è noto, sono causati da movimenti di faglie, cioè di fratture della crosta terrestre, che avvengono molto rapidamente (in pochi secondi). In altri casi, le stesse faglie possono muoversi lentamente (nell’arco di settimane o mesi) senza generare terremoti (scorrimento asismico). Per dimostrare la presenza contemporanea di attività sismica e di movimenti asismici, i ricercatori si sono affidati ai dati delle stazioni Gps (costellazione di satelliti del Global Positioning System) della rete Ring dell’Ingv, installate nel 2011 nell’ambito di un progetto Ingv di studio della deformazione tettonica nell’area del Pollino, e alle immagini radar raccolte dai satelliti Cosmo-SkyMed dell’Agenzia spaziale italiana (Asi), fornite nell’ambito dell’iniziativa Asi Open Call Cosmo-SkyMed.
«I dati satellitari a nostra disposizione – spiega Eugenio Sansosti primo ricercatore Irea-Cnr – hanno garantito un elevato dettaglio nello spazio e nel tempo inimmaginabile con altri sensori, permettendoci di misurare deformazioni del suolo anche molto piccole e lente, come quelle legate agli scorrimenti asismici».
Ciò è stato possibile anche grazie alla intensificazione delle acquisizioni satellitari sull’area del Pollino messa in atto dall’Asi, su indicazione della Protezione civile, durante la sequenza sismica.
L’enorme mole di dati satellitari disponibile necessitava di un’accurata e delicata operazione di elaborazione. «Abbiamo utilizzato tecniche innovative, sviluppate presso il nostro Istituto nel corso degli anni, per risalire alle variazioni nel tempo del segnale di deformazione – precisa Gianfranco Fornaro, primo ricercatore Irea-Cnr – e il successivo confronto dei risultati con i dati Gps non ha lasciato alcun dubbio sull’affidabilità delle nostre misure».
I dati ottenuti sono importanti per la comprensione della sismicità nell’area del Pollino. Le testimonianze storiche degli ultimi secoli non mostrano evidenze di eventi sismici significativi che invece interessano le aree adiacenti dell’Appenino e della Calabria. «Il movimento asismico contribuisce al rilascio di una parte della deformazione tettonica che verrebbe altrimenti rilasciata dai terremoti. Questo può spiegare perché, rispetto al resto dell’Appennino, i terremoti di magnitudo più elevata sono relativamente meno frequenti nell’area del Pollino. Ulteriori progressi nella comprensione dei fenomeni sismogenetici nell’area italiana non possono prescindere dai sistemi osservativi come la rete Gps Ring, la missione Cosmo-SkyMed e la Rete sismica nazionale», conclude Nicola D’Agostino, primo ricercatore dell’Ingv e coordinatore della ricerca.
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