Il Mare Nostrum sta rispondendo al global warming molto rapidamente. In particolare, l’evaporazione è maggiore di precipitazioni e apporti fluviali, temperatura e salinità aumentano ad un tasso due volte e mezzo maggiore rispetto alla seconda metà del XX secolo e superiore a quello degli oceani
«Il Mar Mediterraneo è una delle regioni più soggette all’aumento delle temperature e alla riduzione delle precipitazioni, dove gli effetti del global warming si manifestano più rapidamente che negli oceani, anche perché i tempi di ricambio delle acque sono relativamente brevi rispetto a quelli di un oceano». A parlare è Katrin Schroeder, ricercatrice dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Venezia (Ismar-Cnr), che sul tema ha coordinato due studi internazionali pubblicati sulla rivista «Scientific Reports» in collaborazione con il National Oceanography Centre di Southampton (Uk) e l’Institut National des Sciences et Technologies de la Mer di Salamboo (Tunisia).
«Nel Mediterraneo l’evaporazione è predominante rispetto alle precipitazioni e agli apporti fluviali e, nel bacino orientale, siccità e temperature hanno recentemente raggiunto livelli record rispetto agli ultimi 500 anni».
L’Ismar-Cnr analizza da oltre vent’anni le caratteristiche dell’acqua in transito nel Canale di Sicilia, punto di contatto tra i bacini orientale e occidentale del Mediterraneo.
«I dati dello studio evidenziano che dalla fine del 1993 ad oggi le proprietà termoaline (temperatura e salinità) dell’acqua proveniente dal Mediterraneo orientale, tra i 300 e 600 metri di profondità, hanno subito rilevanti variazioni. In particolare, la rapidità con cui stanno aumentando è di due volte e mezzo maggiore rispetto a quella osservata nel Mediterraneo orientale nella seconda metà del XX secolo ed è di un ordine di grandezza superiore a quella che si osserva negli oceani (nel caso della temperatura, 0,05 gradi all’anno nel Mediterraneo orientale, 0,005 gradi all’anno nell’oceano globale) – prosegue la ricercatrice Ismar-Cnr -. Il Mediterraneo può essere assimilato a una macchina che importa acqua superficiale poco salata e di bassa densità dall’Atlantico, e la trasforma al suo interno mediante processi complessi che coinvolgono la produzione di acque più calde e salate, poi esportate verso l’Atlantico, dalle profondità dello Stretto di Gibilterra».
Nel Canale di Sicilia il flusso d’acqua proveniente dai due bacini si dispone su due livelli: l’acqua di origine atlantica, meno salata e più leggera, occupa lo strato superficiale e si muove verso est, mentre quella intermedia generata dall’intensa evaporazione nella regione orientale, più pesante, si muove verso il bacino occidentale nello strato inferiore.
«Le proprietà fisiche dell’acqua intermedia determinano quantità, temperatura e salinità dell’acqua profonda generata nel Mediterraneo nord-occidentale. Queste due ultime caratteristiche del livello profondo sono molto stabili e sono sempre state considerate un importante punto di riferimento per quantificare ogni minimo effetto dei cambiamenti climatici – conclude Schroeder -. Consideriamo che per circa mezzo secolo il loro contenuto salino e di calore è aumentato gradualmente, mentre dal 2005 questi parametri stanno crescendo a velocità doppia rispetto al periodo 1960-2005. Da allora si parla di transizione del Mediterraneo occidentale, un periodo di eventi di formazione di grossi volumi di acqua profonda particolarmente calda e salata, che ha segnato l’inizio di un drastico mutamento nella struttura degli strati intermedi e profondi del bacino occidentale. Questi dati suggeriscono quindi una veloce transizione verso un nuovo equilibrio che si riverbera sull’ecosistema marino profondo».
A fianco, nella foto di Carolina Cantoni, Ismar-Cnr Trieste, attività a bordo della nave RV Urania: campionatore e sonda Ctd (conducilibilità-temperatura-profondità) mentre stanno per essere calati in mare dalla nave oceanografica Urania.