Anche i Grandi producono fake news

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terra 2015
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Trump ha dichiarato: «la guerra al carbone è finita». Putin quando era riluttante a firmare il Protocollo di Kyoto affermò che con l’aumento delle temperature si sarebbe risparmiato in cappotti. E se gli accordi sono lontani non resta che riflettere sulla possibilità «intanto» di adattarsi alle situazioni che mutano per convivere con i mutamenti e difendersi dai rischi

Bisogna fare giustizia delle false informazioni o fake news come si dice con espressione più snob anche per far vedere che uno sa le lingue. E la notizia è che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, non è un guerrafondaio come molti lo dipingono. Tanto è vero che ha appena dichiarato: «la guerra al carbone è finita». Diciamo la verità non se ne poteva più di questo Clean Power Plan varato dal predecessore Barack Obama per tagliare le emissioni in atmosfera degli impianti a carbone come contributo alla lotta ai cambiamenti climatici.
Oltre tutto, ragioniamo attentamente (come aveva già fatto Putin riluttante a firmare il Protocollo di Kyoto affermando che con l’aumento delle temperature si sarebbe risparmiato in cappotti) ragioniamo, dicevo, se la temperatura aumenta sarà necessario bruciare meno carbone nei bracieri per riscaldarsi e anche questo sarà un risparmio: per l’economia e per l’ambiente.
Magari Trump dovrà sganciare qualche bomba atomica sulla Corea del Nord per rispondere a quelle all’idrogeno del suo gemello e compagno di giochi Kim Jong-un, ma qui siamo nel campo del Risiko più che delle guerre vere e proprie.
E non si vorrà mica pretendere di tener conto del premio Nobel 2017 per la Pace assegnato alla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (Ican) «in riconoscimento del lavoro fatto per suscitare attenzione sulle catastrofiche conseguenze umanitarie conseguenti a qualsiasi uso delle armi nucleari e per i suoi innovativi sforzi per ottenere un trattato per la loro messa al bando».
Mettiamola a scherzo, ma c’è poco da ridere. L’ideale sarebbe che veramente una risata li seppellisse, ma non vanno così le cose.
Allora, mettiamoci sulla realtà e cerchiamo di dare indicazioni di sopravvivenza e buona sopravvivenza a chi viene dopo. Una cosa è certa ed è che il mutamento climatico è in corso ed è caratterizzato non solo dall’abbastanza evidente incremento delle temperature, ma dall’ancor più evidente incremento dell’intensità di quelli che si definiscono «eventi estremi»: dagli uragani, alle bombe d’acqua, alle alluvioni. Per bloccare e, magari, per invertire questa tendenza, a dicembre del 2015, a Parigi, 195 paesi hanno sottoscritto un accordo che mira a contenere l’aumento delle temperature al di sotto di due gradi centigradi entro la fine di questo secolo. Questo accordo, che non prevede «pene» per chi non lo rispetta, intanto sarà realizzato in quanto i Paesi firmatari riusciranno ad invertire i loro radicati comportamenti che da almeno due secoli provocano l’accumulo in atmosfera di gas serra. Intanto che questo avverrà, o se non avverrà, che farà la popolazione terrestre che nel frattempo si avvierà a toccare 8 e poi 9 e poi forse 10 miliardi?
Una nuova realistica tendenza è quella di riflettere sulla possibilità «intanto» di adattarsi alle situazioni che mutano per convivere con i mutamenti e difendersi dai rischi. Adattarsi, dunque. Che non è assuefazione o rassegnazione. Allora quale può essere il ruolo dell’adattamento rispetto al modificarsi delle condizioni esterne? L’obiettivo è duplice: non soccombere e adattarsi a vivere nel migliore dei modi possibile, nel migliore dei mondi possibile.
In questo senso il concetto di adattamento può meglio «adattarsi» e intendersi come la capacità degli esseri umani di sopravvivere all’ambiente che cambia continuamente.
In biologia, che è la scienza che meglio studia gli «adattamenti», questo variare è anche causa e risultato di una selezione naturale. Evidentemente e auspicabilmente, non lo è né deve esserlo nel caso degli esseri umani.
Prevenire, ricordiamo, è meglio che curare. Ed è anche economicamente più conveniente.