Il meccanismo del perché alcune specie sono diventate «nemiche» delle attività dell’uomo, è noto: viviamo in un ambiente che noi abbiamo contribuito a rendere invivibile, disequilibrandolo con la distruzione di habitat che hanno allontanato alcune specie favorendone altre. Noi, ad esempio, guardati dal punto di vista della flora e della fauna selvatica, siamo una specie dannosa…
È difficile campare. E nel periodo elettorale lo è ancora di più. Le notizie si incrociano, si inventano, si sponsorizzano: giusto il tempo di una fiammata tanto si è sicuri che qualcosa resterà…
Così, nell’archivio virtuale della nostra mente, restano relitti di notizie incompiute superate da altre. Tutto serve a formare quelle convinzioni forti su persone e atti che sono terreno fertile per fake news.
Lo storno può diventare un simbolo di questa gigantesca disinformazione, può diventare un motivo forte di riflessione per ognuno.
Parliamo del danno ambientale che gli storni fanno all’agricoltura. Questo piccolo uccello che vive in stormi che incantano durante le loro evoluzioni, si ciba di insetti ma anche di fichi, nespole, ciliegie, olive, semi e talvolta di piccoli vertebrati.
Il meccanismo del perché alcune specie sono diventate «nemiche» delle attività dell’uomo, è noto: viviamo in un ambiente che noi abbiamo contribuito a rendere invivibile, disequilibrandolo con la distruzione di habitat che hanno allontanato alcune specie favorendone altre. Noi, ad esempio, guardati dal punto di vista della flora e della fauna selvatica, siamo una specie dannosa…
La Puglia, si sa, ha estese coltivazioni di ulivi, e quando le olive giungono a maturazione, nei campi, per gli storni, c’è poco da mangiare di altro e quindi questi campi vengono presi d’assalto. Che fare?
Le Regioni, per questo tipo di salvaguardia del bene collettivo, pensano di risolvere con la caccia, così prendono due piccioni con una fava (agricoltori e cacciatori)… e l’ambiente può aspettare.
Quindi la Puglia ha deciso di far risolvere il problema ai cacciatori facendo però l’errore di sovradimensionare il prelievo, tanto che è intervenuta l’Ispra correggendo i parametri in base alla compatibilità naturale e non depauperare un altro bene, quello della fauna, anch’esso bene di tutti.
Vediamo i numeri. Secondo la delibera regionale, acquisendo pareri tecnici, si è reso possibile il prelievo di 8.000 capi nel territorio di alcuni Comuni individuati (12 in tutto), autorizzando 266 operatori. Ma la Regione non si è fermata qui ed ha inteso superare il parere Ispra, estendendo il prelievo ad altri 97 Comuni, per l’abbattimento di 22.000 capi (quasi il quadruplo rispetto a quelli su cui si è espresso Ispra) e questo autorizzando ben 733 cacciatori.
Secondo uno studio commissionato dalla stessa regione, gli storni non rappresentano un problema nel mese di ottobre, all’inizio della stagione olivicola, mentre aumentano la loro presenza nei mesi di novembre-dicembre e rappresentano un problema soprattutto nella zona Monopoli, Fasano e Ostuni.
Da qui l’interrogazione dei consiglieri M5S Gianluca Bozzetti e Rosa Barone con cui hanno chiesto che la Regione revochi in autotutela la delibera.
«La Giunta regionale tuttavia – dichiarano i due consiglieri cinquestelle – con DGR 1587/2017 e senza alcun nuovo parere dell’Ispra, ha autonomamente aumentato il prelievo fino a 30.000 capi entro il 28 gennaio 2018, contemplandolo anche nelle aree regionali confinanti ad elevata densità olivicola, o comunque caratterizzate dalla presenza di storni, quali le province di Foggia, BAT, Bari, Brindisi, Lecce e Taranto, estendendo di fatto la caccia alla storno in altri 97 comuni. Inoltre, difficilmente potranno essere adeguatamente monitorate e vigilate le attività di caccia in presenza di oliveti con frutto, in considerazione della nota carente attività di vigilanza che si registra nel territorio regionale».
È chiaro che un provvedimento del genere, sbilanciato e non rispettoso dei vincoli Ispra che derivano da precise direttive europee, si presta ad essere contestato. E siamo alle solite tiritere accennate prima. Qui interessa poco l’equilibrio ambientale, la sanità degli habitat e politiche oculate… qui interessa tenere contenti quanti più gruppi di interesse a cominciare da coloro che pesano di più.
È un film già visto a proposito dei lupi, dei cinghiali, dei daini, delle volpi, delle nutrie, di altre specie di uccelli… è il quadro di un ambiente naturale devastato dall’uomo e in disequilibrio. Se poi riflettiamo sugli attacchi ai Parchi nazionali che ne stanno destrutturando la struttura, ai parchi non fatti (il Delta del Po), al bracconaggio ecc. si tocca con mano che il sistema Italia non gira, manca una reale pianificazione ecologica dell’ambiente che comprende l’assetto idrogeologico, la pianificazione territoriale. La politica delle pezze non è mai stata risolutiva.
Per riportare l’equilibrio ecologico esistono molti sistemi, anche meno cruenti della caccia, solo a volerlo, solo ad avere le conoscenze e l’amore per l’ambiente. Vero amore e non interessato dal mantenimento della poltrona. Governare è un compito difficile e quasi sempre è impossibile tenere tutti contenti specialmente quando si interrompe il flusso della conoscenza e si ignora il rapporto della filiera alimentare come ad esempio bosco-lupo-cinghiale per faziosità, interesse politico, clientelismo.
Ricordiamocene al momento opportuno.
Ignazio Lippolis