Il carico stivato nella nave e diretto in Corea del Sud era di circa 136mila tonnellate di condensato ultraleggero e si ipotizza che circa la metà del carico, materiale che potrebbe alimentare l’incendio per un’altra settimana, sia ancora immagazzinato nella nave
Una grande colonna di fumo denso e nero domina le acque del mar Cinese orientale all’indomani dell’affondamento della petroliera iraniana Sanchi. Il condensato ultraleggero fuoriuscito continua a bruciare in una enorme chiazza che si estende per oltre 100 chilometri quadrati. Un incendio che ha avuto origine dopo la collisione dello scorso 6 gennaio a 160 miglia da Shanghai contro il mercantile Cf Crystal, dei 32 membri dell’equipaggio della Sanchi sono solo 3 i corpi recuperati.
Quello che si teme adesso è l’ennesimo disastro ambientale.
Una petroliera che sta perdendo il suo carico di petrolio, tossico per il mare e per i suoi mammiferi, pesci, tartarughe e uccelli marini.
Arriva immediata la mobilitazione del World wildlife fund (Wwf) che chiede un impegno urgente di tutti i mezzi di contenimento disponibili per rimuovere il petrolio riversato in mare e ridurre la minaccia che rappresenta per la vita marina.
Questo quanto dichiarato da Ghislaine Llewellyn, vicedirettore della Ocean Practice del Wwf, che dopo aver rivolto il cordoglio e la vicinanza dell’Associazione alle famiglie di quanti hanno perso la vita in questo drammatico scontro, spiega: «Il Mar Giallo è uno degli ambienti marini più ricchi e produttivi del pianeta ed è caratterizzato da un fondale relativamente poco profondo e quindi molto vulnerabile allo sversamento del prodotto avvenuto in questo disastro».
Il carico stivato nella nave e diretto in Corea del Sud era di circa 136mila tonnellate di condensato ultraleggero e si ipotizza che circa la metà del carico, materiale che potrebbe alimentare l’incendio per un’altra settimana, sia ancora immagazzinato nella nave.
Ghislaine Llewellyn, prosegue: «Purtroppo quella in cui la petroliera è affondata, al confine tra il Mar Giallo e del Mar Cinese Orientale è una zona estremamente complessa, caratterizzata da forti correnti e non c’è modo di prevedere dove potrebbe dirigersi la enorme chiazza tossica formata dal petrolio riversato in mare».
Perché come è scritto nel Rapporto «Sversamento di prodotti petroliferi: sicurezza e controllo del trasporto marittimo» pubblicato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) i rischi associati al trasporto di greggio e, più in generale, di prodotti petroliferi sono legati essenzialmente al suo sversamento in mare. Una volta sversato, il petrolio greggio viene esposto all’azione di una serie di fattori meteo-climatici che innescano processi chimico-fisici di degradazione (noti come weathering) che ne vanno a modificare sensibilmente la composizione. Infatti, se la composizione del petrolio nei suoi depositi naturali può rimanere stabile per lungo tempo, la composizione cambia quando il petrolio viene invece esposto all’azione dell’acqua, dell’ossigeno, della radiazione solare, dei micro-organismi e di altri fattori.
Un impatto enorme sulle coste, nel caso vengano raggiunte dal petrolio, sul plancton, sugli uccelli, mammiferi, tartarughe marine e sui pesci.
Sempre nel Rapporto si legge come dal 1970 al 2009 l’International tanker owners pollution federation (Itopf) abbia registrato circa 1.789 incidenti con sversamenti in mare e, come a seguito di tali disastri, complessivamente siano state sversate in mare circa 5,7 milioni di tonnellate di greggio.
Collisioni, incendi ed esplosioni sono tra le cause «accidentali» principali che sono alla base degli incidenti che coinvolgono navi cisterne.
E allora reperire tutte le informazioni possibili sullo sversamento per definire un chiaro quadro della situazione, definire gli obiettivi da conseguire e la loro priorità, definire i traguardi, sviluppare idonee strategie per conseguirli tenendo conto della tempistica, valutare la fattibilità delle varie strategie considerando le condizioni ambientali e la natura dello sversamento, selezionare le varie azioni possibili per implementare le strategie ed eventualmente dare inizio al procedimento di richiesta delle necessarie autorizzazioni e permessi, preparare un piano di azione per ogni strategia implementando sul campo i piani stessi questi i passaggi per gestire l’emergenza in seguito ad uno sversamento di petrolio in mare.
Una corsa contro il tempo insomma per contenere la chiazza tossica e impedire che contamini tutto. Un episodio che ci ricorda ulteriormente quali e quanto pericolosi siano i rischi intrinseci legati ai combustibili fossili, al loro trasporto e al loro uso e che ci impone riflessioni profonde sulla necessità di dare un contributo importante all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile che sono alla base di quella rivoluzione energetica tanto proclamata nella green economy, termine a volte abusato in chiave radical chic ma che di fatto rappresenta nella sua essenza tecnica l’unico modo per salvaguardare il nostro pianeta e preservarlo per le future generazioni.