Rifiuti pericolosi da Bari verso Africa e Asia

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Arrestati tre imprenditori, 10 persone indagate, sequestrate quattro aziende e beni per 1.700.000 Euro. 3.500.000 chilogrammi di rifiuti illegalmente esportati. I veicoli fuori uso venivano smontati ed esportati come parti di ricambio. Ingente il danno all’ambiente, i rifiuti, sporchi e non bonificati erano contaminati con gravi inquinanti come pcb-pct, piombo, cadmio, mercurio, sostanze lesive per l’ozono nonché sostanze petrolifere contaminate

Sono tre gli imprenditori arrestati dai Carabinieri Forestali del Gruppo di Bari cui si aggiungono il sequestro di 4 aziende di Palo del Colle, Ruvo di Puglia e Andria oltre a diverse decine di mezzi pesanti ed al sequestro di beni per un totale di oltre un milione e settecentomila euro, in esecuzione di un’ordinanza cautelare emessa dal Gip di Bari, dopo due anni di indagini condotte dai Carabinieri forestali su delega della Direzione distrettuale antimafia del Capoluogo pugliese.

Oltre ai tre arrestati, di cui uno egiziano e gli altri due di Ruvo di Puglia e Andria, sette persone sono state denunciate a piede libero: per tutti l’accusa principale è di traffico internazionale organizzato di rifiuti pericolosi tra Italia, Egitto, Iran e Libia.

Gli arrestati, insieme alle persone denunciate, avevano costituito un Gruppo criminoso che dovrà rispondere, tra gli altri, di traffico organizzato di rifiuti speciali pericolosi e non (art. 260 D.lvo 152/06) avendo messo su un’organizzazione che esportava all’estero:

1 – Veicoli fuori uso interi [semirimorchi, autocarri cassonati e furgonati anche adibiti ad usi speciali (frigorifero, betoniera), ecc.], non più idonei alla circolazione su strada in quanto non marcianti ed inutilizzabili, costituenti rifiuti speciali pericolosi;

2 – Parti di veicoli fuori uso (cabine, assali, pneumatici, serbatoi, motori, alberi di trasmissione, semiscocche, tettucci, marmitte, impianti frenanti, ecc.) in ingenti quantità, costituenti rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, in quanto mai sottoposti alle operazioni di trattamento previste (come la messa in sicurezza, demolizione, pressatura, tranciatura, frantumazione, recupero o di preparazione per lo smaltimento dei rifiuti frantumati) quali attività da eseguirsi ai fini del recupero o dello smaltimento del veicolo fuori uso e dei suoi componenti;

3 – Parti di veicoli fuori uso attinenti alla sicurezza (semiassi, sospensioni, ammortizzatori, impianti frenanti, impianto sterzante, air bag, cinture) non sottoposti alle prescritte operazioni di revisione, quindi costituenti rifiuto;

ove la legge di settore definisce «veicoli fuori uso» quei veicoli di cui il proprietario/detentore vuole disfarsi mediante la radiazione al Pra ai fini dell’esportazione all’estero o per demolizione, con conseguente produzione di parti di ricambio commercializzabili solo previa bonifica e messa in sicurezza.

In pratica, i soggetti indagati utilizzavano i rispettivi complessi aziendali (beni, mezzi e persone) per cannibalizzare i veicoli fuori uso (costituenti rifiuto) tagliandoli a pezzi, ottenendo parti di essi che venivano esportati tal quali, dichiarandoli falsamente come parti di ricambio, ossia non rifiuto, ma costituenti in realtà ancora rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, poiché commercializzati senza essere stati sottoposti alle operazioni di trattamento ossia bonifica e messa in sicurezza presso un centro di demolizione autorizzato.

Numerose le fatture sequestrate corredate da Dichiarazione nelle quali si attestava falsamente l’avvenuta «messa in sicurezza e bonifica mediante le operazioni di aspirazione degli olii e liquidi ivi contenuti e mediante smontaggio dei relativi filtri» ad opera di Ditte specializzate; sequestrate inoltre false documentazioni utilizzate per presentare come parti di ricambio i rifiuti esportati. Per tali principali ragioni, agli indagati sono stati contestati numerosi reati di falso.

L’azienda capofila del Gruppo, inoltre, esercitava abusivamente l’attività di centro di raccolta e demolizione, trattandosi di mera concessionaria di veicoli pesanti usati, avvalendosi della complicità documentale fornitagli dalle altre aziende indagate, quali centri di raccolta autorizzati. In pratica la trasformazione in pezzi di ricambio veniva fatta risultare falsamente come posta in essere presso un centro di raccolta autorizzato, mentre in realtà si svolgeva, mediante cannibalizzazione, presso un’azienda non autorizzata al riguardo. Nella conduzione dell’attività illecita, il gruppo organizzato si avvaleva anche di consulenti ambientali, anch’essi indagati.

Ammonta a circa 3.500.000 chilogrammi la quantità di rifiuti gestita illegalmente, in particolare verso paesi Asiatici e Africani; più nello specifico, l’organizzazione agiva mediante operazioni costituite da numerose spedizioni transfrontaliere attraverso i Porti di Bari, Genova e Salerno, dirette principalmente verso Iran, Libia, Egitto.

Inoltre, ammonta a oltre € 1.700.000 il valore accertato dei profitti illeciti, derivanti dal risparmio di spesa per la mancata attivazione delle corrette procedure di gestione e recupero dei rifiuti prescritte dalla legge e dai ricavi delle vendita illecita dei rifiuti stessi.

Ingente il danno all’ambiente, derivato dalla circolazione dei suddetti rifiuti, sporchi e non bonificati con presenza di gravi inquinanti come pcb-pct, piombo, cadmio, mercurio, sostanze lesive per l’ozono nonché sostanze petrolifere contaminate, così generando potenziali rischi per l’ambiente sia in fase di trasporto sia in caso di un eventuale riutilizzo di tali parti. Inoltre, il trasferimento di rifiuti non bonificati in Africa fa sì che, ove anche una parte di essi dovesse esser riutilizzata o recuperata, tutto il resto potrebbe andare ad alimentare le numerosissime discariche a cielo aperto trasferendo su quell’ambiente i costi risparmiati in Italia.

Come anticipato, l’esecuzione delle presenti misure cautelari segue una lunga e complessa indagine durata circa due anni condotta con l’ausilio di intercettazioni ambientali e telefoniche ed articolatasi su una serie di sequestri condotti negli anni nei Porti di Genova, Salerno e Bari, per singole esportazioni illecite da considerarsi come segmentali rispetto alla fattispecie illecita finale del traffico organizzato transfrontaliero punita dal Codice dell’ambiente. Contestata anche la violazione della legge n. 231/2001 in tema di responsabilità amministrativa delle Imprese; le aziende sequestrate sono state sottoposte ad amministrazione giudiziale.

L’indagine è stata condotta dai Carabinieri Forestali del Nucleo Investigativo di Polizia Ambientale e Forestale del Gruppo di Bari con la collaborazione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli-Direzione Centrale Antifrode e Controlli, che ha permesso agli investigatori di localizzare e bloccare i traffici in esportazione.

All’esecuzione del provvedimento cautelare hanno partecipato circa 50 carabinieri forestali con il supporto della Territoriale.