Il monitoraggio biologico negli ambienti fluviali

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La tesi, realizzata nell’ambito di un tirocinio formativo presso Arpat, ha studiato l’applicazione di metodi tradizionali e metodi conformi alla Direttiva 2000/60/CE basati sullo studio delle comunità dei macroinvertebrati

Nell’ambito di un tirocinio formativo presso il Laboratorio di Biologia ambientale del Dipartimento Arpat di Lucca, collocato presso il Servizio locale della Versilia, è stata predisposta una tesi di laurea su «Il monitoraggio biologico negli ambienti fluviali: applicazione di metodi tradizionali e metodi conformi alla Direttiva 2000/60/CE basati sullo studio delle comunità dei macroinvertebrati».

La studentessa Patrizia Scaglia della Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali dell’Università di Pisa, Corso di laurea Specialistica in Gestione e Valorizzazione delle Risorse Naturali, ha discusso la tesi ottenendo il massimo dei voti più la lode.

Il monitoraggio biologico nasce da un nuovo approccio per la classificazione degli ambienti fluviali che ne privilegia il ruolo di ecosistema, dove ciascuna componente è interconnessa inevitabilmente con le altre, in un equilibrio la cui alterazione si riflette su ogni anello della catena trofica.

Di conseguenza, il fiume non viene più valutato analizzando un singolo campione di acqua (come era previsto dalla prima normativa sulla tutela delle acque, la cosiddetta «Legge Merli» del 1976), bensì verificando la sua idoneità ad accogliere comunità acquatiche ricche e diversificate, nella fattispecie rappresentate da macroinvertebrati, iniziando a tenere in considerazione tutti quei fattori che contribuiscono al mantenimento di tale comunità, come la presenza di microhabitat diversificati, di periphyton (complessa comunità di microrganismi che colonizza tutti i substrati sommersi), della vegetazione acquatica, oltre ai fattori che invece la riducono nelle sue componenti come l’inquinamento delle acque o la artificializzazione dell’habitat.

Come noto, il recepimento della Direttiva 2000/60/CE ha richiesto per il monitoraggio delle acque superficiali, ed in particolare per le acque correnti, l’adeguamento dei metodi di indagine alle esigenze di conformità dettate dalla normativa. Una delle richieste della Direttiva è quella di standardizzare il più possibile i metodi di indagine, al fine di rendere confrontabili i risultati ottenuti dai diversi operatori. Inoltre la Direttiva richiede che il metodo sia di tipo quantitativo, ovvero che nella definizione dello stato ecologico si tenga conto delle abbondanze della comunità.

Nella valutazione dei vari elementi biologici, ed in modo particolare per quelli basati sullo studio della comunità dei macroinvertebrati, l’Italia ha scelto di abbandonare il tradizionale metodo ufficiale ai sensi del D. Lgs. 152/99 (Indice Biotico Esteso, Ghetti, 1997), per sostituirlo con un nuovo sistema di classificazione (MacrOper, Buffagni e Erba, 2008) giudicato più conforme alle richieste della Direttiva.

Il lavoro che ha condotto all’elaborazione della tesi è il risultato di un’esperienza sull’applicazione dei due metodi svolta in collaborazione con il personale operante presso il Servizio locale della Versilia con lo scopo di evidenziare gli aspetti applicativi del nuovo sistema di classificazione anche rispetto al metodo Ibe.

A tal fine le due metodiche sono state applicate in sei stazioni appartenenti a due bacini idrografici della Provincia di Lucca e confrontate per valutare nella pratica il nuovo metodo anche in relazione agli aspetti logistici, all’impiego delle risorse necessarie, alla problematica dell’analisi quantitativa ed altri aspetti che potessero scaturire nel passaggio dalla «vecchia» alla «nuova» metodologia.

Il lavoro, oltre a fornire i dati necessari alla compilazione della tesi, ha costituito una valida esperienza sul campo che ha consentito di evidenziare aspetti ancora poco noti del metodo sollecitando riflessioni e considerazioni utili alla conoscenza della nuova metodologia d’indagine, sia per quanto riguarda le fasi di campionamento sia per quelle relative all’elaborazione dei dati.

Sul piano delle valutazioni della qualità degli ecosistemi fluviali, il confronto tra la classificazione delle stazioni ottenuta con l’Ibe e con il MacrOper risulta abbastanza agevole, poiché con entrambi i metodi vengono individuati 5 livelli di valutazione (classi di qualità).

In una sola delle stazioni analizzate, la classe di qualità individuata con l’indice Star_ICMi (STAR Intercalibration Common Metric Index) utilizzato dal metodo MacrOper corrisponde alla classe individuata con l’indice Ibe. Nelle altre cinque stazioni, la classe di qualità relativa all’indice Star_ICMi utilizzato è inferiore di una classe a quella individuata con l’indice IBE. In generale quindi il calcolo dell’indice Star_ICMi dà valori di qualità inferiori rispetto a quelli assegnati con l’indice Ibe.

A questo proposito, occorre ricordare che il valore ottenuto con l’indice Ibe deriva dal progressivo allontanamento della comunità studiata da una comunità teorica attesa, già insita nel meccanismo di calcolo. Il valore dell’indice Star_ICMi invece si ottiene dal rapporto tra le metriche calcolate e quelle di riferimento predefinite per i diversi tipi fluviali Eqr (Rapporto di Qualità Ecologica).

Il lavoro svolto per la predisposizione della tesi ha portato a rilevare che in base all’esperienza effettuata, è possibile affermare che il metodo MacrOper, se applicato in ambienti e condizioni idrologiche che consentano l’utilizzo della principale strumentazione consigliata (Retino Surber) e vengono garantite le misure quantitative delle abbondanze, risponde sicuramente all’esigenza di standardizzazione richiesta dalla Direttiva.

Nel caso in cui si debba ricorrere ad altri strumenti di campionamento, qualora ad esempio le condizioni idrologiche (es. periodo di morbida) impongano l’uso del retino tradizionale, verrebbero a cadere alcuni dei presupposti che garantiscono la standardizzazione degli spettri quantitativi.

Lo stesso utilizzo del retino Surber ha presentato criticità in relazione al microhabitat campionato. Per mantenere lo standard massimo, dal punto di vista operativo, l’applicazione del metodo richiede un notevole impegno per quanto riguarda la tempistica.

Durante l’indagine si è infatti calcolato per l’applicazione del metodo un impegno considerevolmente superiore rispetto agli standard normalmente richiesti per l’applicazione dell’Ibe (nell’ordine delle 12-15 ore/uomo, a fronte di un impegno di 3 ore/uomo nell’applicazione del metodo Ibe).

Questo fattore può rappresentare una criticità da non sottovalutare nel corso delle attività di monitoraggio previste dalle Agenzie per l’Ambiente e non solo. Da ciò prende forma la necessità di ridurre i tempi relativi al campionamento, e quindi di effettuare stime piuttosto che un conteggio completo degli organismi raccolti durante il campionamento, come tra l’altro previsto dagli Autori stessi del metodo, anche se tale operazione introduce un elemento di incertezza nell’applicazione delle metriche e sembra far allontanare la conformità del metodo alle richieste della Direttiva, oltre che aumentare l’incertezza del risultato.

(Fonte Arpat, Testo a cura di Gilberto Baldaccini)