Serve un patto per l’acqua

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Tanti problemi ancora irrisolti per una risorsa preziosa soprattutto per il riuso. Permangono problemi di natura normativa

Recentemente si è tenuto presso la sede del Consiglio Regionale della Toscana il convegno dal titolo «Il riuso delle acque reflue realizzazioni e prospettive» promosso dalla VI Commissione Territorio e Ambiente del Consiglio Regionale in collaborazione con l’Airba, associazione italiana ricerca biologica ambientale e con il patrocinio di Ispra.

Il convegno ha affrontato il tema del riuso della risorsa idrica, con il coinvolgimento di amministratori, tecnici, imprese ed Università, chiamati a confrontarsi sull’importante tema dell’acqua e del suo ri-utilizzo.

L’acqua è un bene primario da tutelare sia dal punto di vista qualitativo sia quantitativo, pertanto l’obiettivo deve essere quello di una buona gestione della risorsa idrica che tenga conto dell’utilizzo ottimale dell’acqua e del suo risparmio ed al tempo stesso valorizzi il riuso, ovvero l’utilizzo in settori diversi da quello d’origine, ed il riciclo, cioè l’utilizzo nello stesso settore di quello d’origine.

Il tema dell’acqua è oggi sempre più al centro dell’attenzione, soprattutto perché siamo di fronte a periodi di carenza idrica, nonostante ciò, il riuso delle acque secondarie stenta a decollare, come afferma il Presidente della Commissione Ambiente e Territorio del Consiglio Regionale della Toscana che introduce il tema del convegno, ed anche il risparmio idrico è pratica che necessita di ottimizzazione.

Quali limiti rendono ancora debole l’utilizzo di acque reflue? sicuramente problemi di natura normativa, ma anche alti costi economici, legati alla costruzione di reti duali ed ai trattamenti spinti necessari per rendere le acque reflue utilizzabili, a questo si aggiungono persistenti resistenze di natura psicologia e sociale.

Cecilia Caretti dell’Università di Firenze ci ricorda che ancora oggi non valutiamo appieno i costi ambientali dovuti all’inquinamento della risorsa idrica ed allo spreco della stessa, si pensi alle perdite di rete reali e virtuali, e che ancora poco si ragiona in termini di risparmio idrico collegato a quello energetico.

Quale normativa disciplina questa materia?

Un interessante intervento sulla normativa, partendo da un’analisi comparata dei sistemi legislativi di paesi come il Canada, gli Stati Uniti d’America, l’Australia e molti altri, è stato fatto da Marco Mazzoni, direttore tecnico della Hydrogena Vision srl.

A livello internazionale è dal 1973 che l’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), si occupa del tema del riuso delle acque reflue, ponendo in essere norme di buona pratica, fino al 2006 quando la stessa Oms ha mutato l’approccio al problema introducendo, come ricorda Mazzoni, il criterio della valutazione del rischio.

Con la direttiva UE 91/271 l’Europa si è posta il problema del riutilizzo delle acque reflue urbane, mentre in Italia, oggi, la materia è disciplinata dal DM 185/2003 e dal Testo Unico Ambientale (TUA -Dec. Leg.vo 152/2006) art. 98 e tabella III Allegato 5.

Mentre il DM 185/2003 detta le norme tecniche per il ri-utilizzo delle acque reflue, che è comunque vietato nel caso di uso potabile, il Testo Unico Ambientale pone all’art. 98 l’obbligo di adottare misure necessarie per evitare sprechi, delegando la concreta attuazione alle Regioni. (vedi intervento di Riccardo Bresciani)

Il DM 185/2003 nel disciplinare il riuso delle acque reflue pone come suoi obiettivi la tutela igienico sanitaria e la tutela ambientale, ma il vero e grosso limite è dovuto al fatto che non pone nessun obbligo di riuso delle acque reflue. In alternativa al riuso si può chiedere l’approvvigionamento da acque superficiali o dalla falda, molto più economico.

Non è però più possibile non riutilizzare le acque reflue per questo, come ha sostenuto Paolo Matina (responsabile dell’Area di coordinamento «Tutela dell’acqua e del territorio» della Regione Toscana) nel corso del convegno, è necessario lanciare un patto per l’acqua, che proiettandosi nei prossimi 10 anni individui i punti critici e stabilisca come farvi fronte.

Quali possono essere le destinazioni d’uso delle acque reflue una volta trattate?

Il riuso è consentito ai fini civili, agricoli ed industriali.

Il riuso di acque reflue nell’industria può avvenire nel ciclo produttivo, oppure per antincendio o per lavaggio. Il divieto è quello di un utilizzo che comporti un contatto con alimenti o farmaci.

Molto interessante l’esperienza raccontata da Fabio Caregnato della società Gida srl, gestore del depuratore di Prato, che insieme a Idra, consorzio di imprese pratesi, le amministrazioni locali e gli industriali di Prato portano avanti il progetto di riuso delle acque reflue a fini industriali voluto dal Comune di Prato a partire dagli anni 90.

Oggi, con la crisi economica, non solo le imprese del tessile si servono di questo servizio, ma sono allacciati anche artigiani e piccoli imprenditori di altri settori

In agricoltura le acque reflue trattate vengono utilizzate ai fini irrigui, visto che, come ci dice Stefania Nuvoli di Arsia, l’agricoltura è un settore idrovoro, dove, negli ultimi 10 anni, problemi quali l’abbassamento del livello della falda, l’intrusione del cumulo salino e la riduzione delle piogge hanno posto con forza il tema del riuso, che si è scontrato spesso con la mancanza di una rete di distribuzione ed un sistema di irrigazione collettiva.

In agricoltura da quanto emerge dall’esperienza di Arsia i principali problemi connessi all’uso di acque reflue sono costituiti dalla necessità di dotarsi di impianti e modalità che garantiscano il risparmio idrico e calibrare l’uso di acqua in base al fabbisogno della coltura, tenendo conto del piano di concimazione. Per questo Arsia svolge un’attività di consulenza informatica, con banche dati e mettendo a disposizione un software utile agli agricoltori.

Per quanto attiene infine il riuso ai fini urbani non abbiamo nella nostra Regione esperienze di questo tipo, ed il problema più grosso è dato dalla mancanza di reti fognarie collegate agli impianti di depurazione. Allo stato attuale è in studio un progetto di riuso di acque reflue urbane che vedrà sperimentato nella città di Prato.

In ogni caso, valutando anche da esperienze europee ed internazionali, le tipologie di utilizzo in ambito urbano sono di due tipi: domestico, ovvero acque reflue trattate ed utilizzate dai singoli per lavare l’auto, scarichi dei wc, annaffiare giardini, condizionamento interni, e simili, ed un uso non domestico, ovvero di tipo pubblico destinato a lavaggio delle strade, anti-incendio, fontane, irrigazione spazio verdi urbani, come giardini o centri sportivi.

Oltre alla mancanza di un obbligo specifico di ri-uso delle acque reflue, al problema dell’assenza di una rete duale di distribuzione, oltre costi elevati, economici ed ambientali, legati al trasporto su gomma dell’acqua depurata per altri usi, si aggiungono altre problematiche, quali il numero eccessivo di parametri/indicatori contenuti nella normativa italiana, che si aggirano intorno ai 60, e che, in taluni casi, pongono limiti che rendono il riuso non applicabile.

Un’altra esperienza italiana presentata è stata quella del riutilizzo dei reflui dei depuratori di Cecina e Rosignano, riciclati a fini industriali nello stabilimento della Solvay di Rosignano. (vedi intervento di Paolo Ciuffetelli)

Caso esemplare è quello dei coliformi, già nel 1989 l’Oms poneva il limite di coliformi inferiore a 1.000, in Italia, con il DM, si prevede un limite inferiore a 10, senza però fare una distinzione sulla destinazione d’uso, come fanno molte legislazioni in Europa e nel resto del mondo. (vedi intervento di Fabio Masi)

L’Agenzia americana per l’ambiente, Epa, ad esempio, nel proprio disciplinare ha distinto se il riuso prevede un contatto corpo/acqua, in questo caso, e solo in questo, i coliformi devono essere vicino a zero con tolleranza fino a 14.

La normativa spagnola, invece, prevede un limite di coliformi inferiore a 100 per uso acque reflue ai fini irrigui, i prodotti spagnoli giungono comunque sulle nostre tavole, mentre i nostri agricoltori hanno limiti più stretti, come ha dichiarato Nuvoli di Arsia.

È necessaria dunque una revisione della normativa in questa materia che tenga conto delle diverse criticità evidenziate nel corso del convegno, ma come ha annunciato Scaldaferri del ministero dell’Ambiente e tutela del Territorio e del Mare è volontà del Dicastero rivedere la normativa sul riuso delle acque reflue.

(Fonte Arpat, testo a cura di Stefania Calleri)