Che l’economia circolare non diventi schizofrenia

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Ecologia ambiente terra
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Per essere sostenibili e circolari dobbiamo riallinearci con i cicli naturali della materia e dell’energia, non certo tornando al carretto e alla candela, come qualcuno paventa, ma facendolo col massimo impiego della più moderna scienza e tecnologia. Partire quindi dall’ecologia e, perché no, insegnarla a vari livelli


Che si debba puntare verso l’economia circolare ormai è sulla bocca di tutti, anche se non molti sanno di che si tratta, ignorando che è solo un modo diverso di definire il più noto sviluppo sostenibile. Come ci si arrivi, poi, è tutto ancora da capire. E per capirlo serviranno le migliori competenze di tutte le discipline, tecniche e umanistiche, non c’è dubbio di questo.

Lo sforzo deve essere comune e coerente, pena una pericolosa schizofrenia socio-economica e culturale. Infatti nessuna disciplina può restare arroccata da sola su un’impostazione lineare e di conseguenza apportare alla società un contributo distonico con le direttrici delle altre, se queste si orientano alla circolarità.

Per comprendere questo concetto dobbiamo prima identificare qual è la disciplina guida, quella che può fornire la base di riferimento per reindirizzare tutte le altre. Per essere sostenibili e circolari dobbiamo riallinearci con i cicli naturali della materia e dell’energia, non certo tornando al carretto e alla candela, come qualcuno paventa, ma facendolo col massimo impiego della più moderna scienza e tecnologia. E non potrebbe essere diversamente, tanto ci siamo allontanati dai ritmi e flussi naturali.

Quindi bando alle fantasie di tuffi nella natura in paradisi incontaminati; proviamo a rendere decenti gli inferni che abbiamo creato, e tutti collaborino a che ciò si realizzi.

Tornando alla disciplina madre e al concetto di ciclicità in equilibrio dinamico, è altrettanto indiscutibile che la scienza di riferimento debba essere l’Ecologia. È questa che tratta e ci spiega come funziona tutto sulla terra, dandoci le dritte per recuperare e non sbagliare in futuro. Ora qualcuno potrà pensare che mi stia producendo nel più classico degli esercizi di esaltazione categoriale «pro domo mea», o che voglia riproporre un piagnisteo da ambientalista inascoltato (cui pure spesso indulgo). Lungi da me tutto ciò. Mi sono infatti convinto da un pezzo che non saranno gli ambientalisti, come oggi vengono etichettati, a guidare il mondo verso il cambiamento, ma la consapevolezza ambientale diffusa, che è esattamente l’opposto della gelosa custodia concettuale operata da un singolo gruppo, sia esso politico, ideologico, scientifico o culturale.

Agli ambientalisti tocca la proposta, lo stimolo, il richiamo; l’innesco, insomma. La svolta è altra cosa. Dove voglio arrivare? Semplicemente a dire che i concetti base di ecologia scientifica devono diventare patrimonio di tutti i livelli della conoscenza e integrarsi con essi, e questo risultato non lo si può ottenere solo agendo dall’esterno dei percorsi formativi istituzionali. Perciò non basta che l’ecologia sia materia di insegnamento alle elementari e medie di ogni ordine e grado, come non basta che sia alimento specialistico solo delle facoltà più orientate agli studi ambientali. Avete idea a quanti frequenti conflitti professionali si assiste quando si confrontano diverse competenze, ad esempio quelle paesaggistiche con quelle industrialistiche o quelle seccamente economicistiche con quelle naturalistiche?

E il peggio viene restituito quando non si siede in un salotto televisivo, ma intorno ad un tavolo importante, che so, al ministero dello Sviluppo o all’Assessorato Regionale alla Programmazione, dove si fanno scelte cruciali e definitive. Togliendo di mezzo, per ora, l’influenza di interessi lobbistici preorientati e consolidati, è evidente la mancanza di una base di conoscenza minima comune; si finisce così a parlare lingue diverse, anche se ognuna eccelsamente avanzata nel suo specifico campo, e a metterla sul piano ideologico o politico. Come ottenere una «infezione ecologica» che diventi pandemia professionale efficace?

Un’idea potrebbe essere inserire in tutte le facoltà e corsi di laurea un esame obbligatorio di ecologia di base, incentrato sui ritmi e flussi dei cicli naturali e sul loro equilibrio. Particolarmente utile sarebbe negli studi economici, ma anche in quelli letterari e sociali; in quelli ingegneristici non specificamente ambientali e, perché no, in quelli sanitari e giuridici. Su quest’ultima affermazione tocca soffermarsi: si badi, i criteri ecologici non sempre sono correttamente rappresentati nel diritto e nella normativa ambientale, anzi alcune volte le due cose non vanno affatto d’accordo. Giusto un esempio per tutti: i limiti dell’azoto per lo scarico delle acque reflue depurate sul suolo sono più bassi di quelli che definiscono la potabilità dell’acqua. Il paradosso che ne emerge è che si useranno fertilizzanti invece di riutilizzare a questo scopo le acque reflue, mentre chiunque svuoti a terra il resto non bevuto della bottiglietta di acqua minerale rischia simpaticamente di commettere un reato!

In realtà non è affatto facile «legiferare sostenibile», poiché l’impostazione giuridica passa ancora prevalentemente per limiti tabellari ed è orientata a prevenire rischi, più che armonizzarsi ai processi naturali complessi ed evolutivi e favorirli. Servirà tanta competenza integrata per dipanare la complicatissima matassa. Insomma studiare ecologia sono convinto che faccia un gran bene a tutti. Visto che cosa meravigliosa è successa a Papa Francesco quando l’ha fatto?