Oggi crisi climatica in primo piano

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La Settima ministeriale è iniziata sotto tono, come auspicava Lamy. Ma qualcosa dietro le quinte si muove. E parla soprattutto di un nuovo protagonismo dei Paesi emergenti nella costruzione di mercati Sud-Sud

Oggi è la volta della crisi climatica, altrettanti presidi di fronte alle multinazionali che più si sono macchiate di crimini ambientali e dell’aumento delle emissioni di gas serra.

In attesa del vertice della Cop15 di Copenhagen. Manca poco meno di una settimana, ed i movimenti sociali e le reti internazionali si stanno preparando all’evento. A cominciare da una carovana di contadini e di attivisti che in questi giorni partirà da Ginevra per raggiungere Copenaghen in autobus.

Lunedì è iniziata la Settima ministeriale del Wto (Organizzazione mondiale del commercio). «Ieri si respirava una strana atmosfera. Non c’era il tumulto classico delle ministeriali, dove giorno dopo giorno escono le bozze dei documenti nati da consultazioni stancanti e spesso notturne».

L’auspicio del direttore Pascal Lamy di fare una ministeriale sotto tono si sta mostrando in tutta la sua concretezza. Ma in verità qualcosa dietro le quinte si muove. E parla soprattutto di un nuovo protagonismo dei Paesi emergenti nella costruzione di mercati Sud-Sud.

Non solo la Cina, con l’oramai conosciuta politica del do-ut-des con i Paesi africani, soprattutto in tema di materie prime. Ma anche il Brasile, con il sostegno economico e finanziario a piccoli stati africani come Chad, Benin, Mali per la questione del cotone (un modo per aprire nuove forniture alle multinazionali brasiliane?) e con la proposta portata avanti assieme ad altre potenze emergenti di voler concedere grandi aperture di mercato (dazio zero e quote zero) per l’80% dei prodotti provenienti dai Paesi più poveri. La controparte richiesta? Che i Paesi industrializzati facciano altrettanto.

Una proposta che, se associata alla spinta che diverse delegazioni dell’Africa subsahariana stanno facendo sul cotone e sull’azzeramento dei sussidi all’esportazione americani, potrebbe far riaprire i giochi sul negoziato agricolo, ancora in fase di stallo.

Altra questione, altra sorpresa. Sembra sia in via di risoluzione la guerra delle banane, che per anni ha contrapposto le due sponde dell’Atlantico per le concessioni che l’Unione europea accordava alle proprie ex colonie di Africa, Caraibi e Pacifico. L’accordo è vicino, e parla di un abbassamento consistente del dazio europeo alle banane latinoamericane a patto che l’Ecuador e gli altri Paesi del Cono Sur decidano di ritirare le proprie denunce alla Wto.

Contemporaneamente alla Commissione anche le mobilitazioni continuano. E dopo la grande manifestazione di sabato la rete internazionale «Our World Is Not For Sale» e l’iniziativa di protesta all’interno del vertice di lunedì, continua il proprio lavoro di contatto con le delegazioni e di iniziative all’esterno. L’obiettivo è:

–       da una parte fornire strumenti ai negoziatori, in questo momento poco attivi, per controbilanciare l’agenda di liberalizzazioni del Doha Round,

–       dall’altra è creare attenzione sul problema della crisi economica e sociale che stiamo vivendo.

Ieri decine di attivisti di Via Campesina hanno bloccato gli accessi alla ministeriale per oltre un’ora, mentre lunedì una piccola carovana di trattori è andata a fare visita con striscioni e volantini ai padroni dell’agrobusiness, tra cui la Cargill, che nei fatti controllano buona parte della filiera di produzione e di distribuzione delle principali commodities agricole a livello mondiale.

Sulla pagina news di Faircoop ci sono da stamane alcuni documenti ufficiali

(Fonte Faircoop)