Un modo giovane di fare imprenditoria

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Crescono a ritmo sostenuto i consumi di prodotti alimentari attenti all’ecocompatibile e al consumo sostenibile. l’Italia è al 7° posto nella Ue, ai primi posti: Danimarca, Svizzera e Austria, e i Gas stanno acquistando un’importanza sempre maggiore

Crescono a ritmo sostenuto i consumi di prodotti alimentari attenti all’ecocompatibile e al consumo sostenibile. E l’agricoltura in veste biologica comincia a interessare nuovamente come fonte di reddito e dimensione sociale, come dimostrano le esperienze in Italia e all’estero.

Le ricerche che «Sana» conduce da un triennio sulla salute e il benessere degli italiani lo dimostra: un segmento sempre più consistente della popolazione (44%) registra la crescita di attenzione per un consumo sostenibile che tenga conto dell’ecocompatibile e dell’impatto ambientale. Per l’11% questa attenzione è molto aumentata e per il 33% abbastanza aumentata. Una percentuale che tende al 50% sta a significare che si sono definitivamente varcati gli steccati dell’«integralismo verde» di matrice tradizionalmente ambientalista, per consolidare una tendenza condivisa da molti strati di consumatori di diversi orientamenti sociopolitici.

La Gdo (grande distribuzione) fa segnare in due terzi del Paese numeri a due cifre per i consumi bio: 44% a Nord ovest, 27% a Nord-est, 20% al Centro e Sardegna e un promettente 9% a Sud e Isole (fonte Ismea su base AC Nielsen 2008). Su tre italiani uno ha effettuato almeno un acquisto tenendo presente l’ecocompatibilità. Temi come l’impronta ambientale e il km zero (la filiera corta) sono sempre più percepiti in relazione alla salute e al benessere fisico e mentale, soprattutto sotto forma di prevenzione e responsabilizzazione individuale. Questo nuovo approccio, meno fatalista e più consapevole, ha orientato e stabilizzato i consumi bio presso il 25% degli italiani.

Già nel 2007 (fonte Interaktive marker research) le abitudini di acquisto davano 30,4% spesso, 47,6% qualche volta e solo il 22% mai e i dati sono superati per difetto. Nel nostro Paese, dove il retaggio della civiltà contadina è ancora vivo specie in certe zone, la stagionalità dei prodotti ortofrutticoli e la filiera corta per formaggi, carni e salumi, riconciliano con la natura di cui tutti noi, soprattutto gli inurbati, sentiamo la mancanza e il bisogno.

Nel settore dell’alimentazione biologica l’Italia è attualmente al 7° posto nella Ue. Al primo posto la Danimarca seguita dalla Svizzera (extra euro) e dall’Austria. Fattorie e caseifici sono la punta di diamante: si ristrutturano secondo i canoni della bioedilizia, trasformano i prodotti dei soci (la forma prediletta è quella cooperativa) in alimenti biologici, svolgono ruoli sociali con il commercio equosolidale, rilanciano razze bovine autoctone e ne allevano di più esotiche, importano innovazione. È il caso della mucca Bianca modenese, presidio di Slow food, della frisona, della Limousine a Farneto e della capra del Cachemire a Marzabotto.

Hanno incrementato i fatturati, anche fino al 25%, marchi che distribuiscono sia in Gdo, sia nei punti vendita specializzati i prodotti delle cooperative giovanili, che coltivano i terreni confiscati alla criminalità organizzata o dei campesinos dell’America Latina. Un’imprenditoria che contribuisce a disinnescare le mine sociali nel mondo. Un fermento che ha portato in Italia, via Toscana, i primi prodotti macrobiotici giapponesi.

Non a caso, proprio in Giappone, alla fine degli anni ’80, era presente la «community supported agricolture», la filiera corta europea. Nel 2004 esistevano migliaia di Teikei (rapporti diretti) e oggi una famiglia giapponese su quattro utilizza questa forma di acquisto. Dal 2003, alle porte di Tokyo, sorge la creatura dell’architetto Iguchi Hiroshi, che ha fondato l’eco-villaggio Millennium City. Il progetto prevede l’autosufficienza alimentare, problema acuto nel Giappone che produce solo il 28% del proprio fabbisogno.

L’obiettivo è raggiunto con la collaborazione delle fattorie vicine, dove si svolgono anche workshop a pagamento (45 euro per gli ospiti, 40 per i membri della comunità). La terra è coltivata con i criteri dell’agricoltura biologica e alle lezioni di agronomia teorica segue la pratica di alimentazione biologica: si zappa la terra e si piantano le foglie di patata dolce. Gli adepti sono sempre di più, tanto che è prevista una fattoria biologica autosufficiente nell’area urbana stessa di Tokyo.

Riqualificare il territorio strappandolo all’inselvatichimento e all’incuria ha spinto i 4.500 abitanti di Mouroux , nel dipartimento francese di Seine et Marne, ad autotassarsi per ingaggiare un contadino.

Scelto con un bando comunale, l’agricoltore, che percepirà 2.000 euro mensili, ha il compito di «rinverdire» i prodotti della natura locale. In cambio i cittadini riceveranno a domicilio 6 o 7 Kg di frutta e verdura alla settimana. Unica difficoltà, uniformare i gusti di tutti quando si decidono le semine in assemblee annuali numerose e turbolente. Chi preferisce le carote, chi le zucchine, chi gli asparagi. Superato questo scoglio, è l’informatica a far circolare le informazioni. Una newsletter segnala agli utenti iniziative, cicli di maturazioni dei prodotti ecc.

Da «voci nel deserto», i pionieri delle Amap (Associazioni per il mantenimento dell’agricoltura di paese) come Daniel Vuillon, unico superstite di 15.000 fattorie della zona, sono balzati alla ribalta quando il deserto si è palesato davvero in tutta la sua desolazione economica e sociale.

In Italia lo stesso ruolo sta toccando ai Gas, i gruppi di acquisto solidale, che da nicchia (negli anni Sessanta li avremmo definiti «gruppuscoli») si stanno trasformando in un volano che alimenta i circuito delle cascine, delle fattorie e degli agriturismi più o meno vicini ai grandi centri urbani. Un fenomeno che sta acquistando, con il ritorno all’agricoltura biologica di giovani agronomi, imprenditori, operatori turistici e ricercatori, un’importanza sempre maggiore.

(Fonte Megliopossibile)