Il 56% del territorio nazionale ha impugnato la legge dimostrando la propria opposizione alla scelta del Governo, difendendo così le proprie competenze
Il nucleare trova un muro quando passa dai proclami al territorio. A seguito dell’appello rivolto l’11 settembre da Greenpeace, Legambiente e Wwf, che invocava il ricorso alla Corte costituzionale per fermare il provvedimento sul nucleare di sostanziale centralizzazione delle procedure e militarizzazione del territorio, si è scatenato in questi giorni un vero e proprio «effetto domino». Dopo i primi no di alcune Regioni, a oggi hanno impugnato la legge dimostrando la propria opposizione alla scelta nucleare ben 11 regioni, che rappresentano circa il 56% del territorio italiano, ovvero Basilicata, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria.
Oltre a queste, Sardegna e Veneto hanno detto no al nucleare sul proprio territorio con ordini del giorno o dichiarazioni del presidente. Tra le Regioni che non hanno aderito all’invito delle associazioni a impugnare la legge, la Sicilia aveva manifestato l’intenzione di impugnare comunque la legge, ma non si ha notizia di una delibera in tal senso.
Insomma, le Regioni difendono le proprie competenze e sanno bene che gli elettori non premieranno mai un governatore (o un candidato) che accettasse una centrale nucleare sul proprio territorio. Per questo le associazioni chiederanno un esplicito pronunciamento a tutti i candidati prima delle prossime elezioni.
Le tre associazioni hanno dichiarato che «il Governo deve tener conto di quanto sta succedendo nel Paese e fare marcia indietro rispetto a una prospettiva, quella del nucleare, costosa e insicura, oltre che inutile rispetto ai problemi energetici italiani».
(Fonte Wwf Italia)