Carcinoma colon-retto, le cattive abitudini e l’età della prima visita

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Nuovi studi tendono a modificare l’approccio allo screening preventivo per il carcinoma colorettale. Questo carcinoma è la seconda causa di morte tumorale nel mondo

La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. I polipi sono considerati forme precancerose, sebbene rientrino nelle patologie benigne. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo).

Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna.

La probabilità che un polipo del colon si evolva verso una forma invasiva di cancro è legata ad una serie di variabili di cui fanno parte anche la dimensione del polipo stesso: è minima (inferiore al 2%) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10%) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10%) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell’aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso.

Come per tutti gli altri tipi di tumore la ricerca ha fatto molto nel corso degli anni, producendo una comprensione più precisa del fenomeno, anche a carattere molecolare, investigandone cause di insorgenza, sviluppo e comportamenti, ma molto si deve ancora svelare.

La prevenzione è sempre la migliore strategia di attacco: forme tumorali scoperte sul nascere hanno possibilità maggiori di essere eradicate.

La miglior arma a disposizione della medicina per valutare che lesioni della mucosa intestinale possano evolvere in tumori è rappresentata dalla colonscopia.

Tuttavia, un nuovo studio suggerisce che il protocollo corrente che indica quando iniziare a controllare l’eventuale presenza della malattia potrebbe essere troppo tardivo per molti uomini e potrebbe costituire per molte donne un percorso costoso e prematuro.

I medici attualmente consigliano a uomini e donne senza storia familiare di carcinoma del colon o altri fattori di rischio, di iniziare a sottoporsi allo screening a 50 anni. Si consiglia invece ai soggetti più a rischio di sottoporvisi prima. Ma questa linea guida radicale non tiene conto delle differenze genetiche e di stile di vita individuali. Per calcolare l’età ideale per il primo screening, i ricercatori del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle e i loro colleghi hanno analizzato i dati dei pazienti considerando anche 19 fattori che rientrano all’interno di un vero e proprio modello comportamentale ritenuto pericoloso (tra cui esercizio fisico scarso, consumo di alcol, di carne rossa, indice di massa corporea e uso di aspirina) e 63 marcatori genetici associati al cancro del colon-retto. Un marcatore genetico si presenta come una sequenza di DNA la cui alterazione risulta essere statisticamente legata ad un certo tipo di fenotipo (in questo caso l’ insorgenza della malattia, il suo grado di aggressività e la sua risposta ad un certo tipo di trattamento).

I risultati suggeriscono che il 15% degli uomini senza storia familiare per malattia dovrebbe iniziare a farsi esaminare prima dei 45 anni, mentre la metà delle donne senza storia familiare potrebbe aspettare fino al 56% e il 10% di quelle potrebbero iniziare dopo i 64. Tredici anni di dati dei partecipanti di discendenza europea hanno dimostrato che la terapia ormonale sostitutiva riduce il rischio di cancro delle donne, che gli uomini hanno maggiori probabilità di intraprendere comportamenti rischiosi come bere e fumare, e che il sovrappeso è un rischio maggiore per gli uomini rispetto alle donne.

I risultati dello studio, pubblicati a giugno su «Gastroenterology», mettono in discussione anche l’ipotesi che una storia familiare della malattia richieda sempre uno screening precoce. I ricercatori hanno scoperto che più della metà delle donne, e il 15% degli uomini, con una storia familiare potevano aspettare fino a 50 anni per una prima colonscopia. Questi risultati rappresentano un passo avanti verso le linee guida di screening individualizzate, ma non dovrebbero essere considerati consigli medici, afferma Jihyoun Jeon dell’Università del Michigan, l’autore principale dello studio.

Attualmente, infatti, non si conosce ancora che influenza abbia la predisposizione genetica nell’insorgenza della malattia e quale invece sia il peso delle cattive abitudini. La strada d’indagine da percorrere è quindi ancora impervia.

«Lo studio è significativo perché i modelli [di malattia] di solito non combinano sia la genetica che le abitudini per predire il rischio di cancro del colon – afferma Brian Wells, un biostatista della Wake Forest School of Medicine, che non è stato coinvolto nel lavoro –. Ma gli autori non ci hanno detto quante colonscopie potrebbero essere evitate e quanti tumori del colon-retto potrebbero essere prevenuti usando questo modello e come questo sia in linea con le linee guida attuali. Questo confronto è necessario per valutare i rischi rispetto ai benefici per il mondo reale».

 

(Da «Gravità Zero», Stefano Bossi)