Allarmato dalla situazione di paralisi, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è tornato ad incitare, con un ultimo appello ma anche con un durissimo monito, i delegati e gli oltre oltre 100 capi di Stato e ministri riuniti a Katowice
«Sprecare questa opportunità a Katowice comprometterebbe le nostre ultime migliori possibilità di fermare la corsa del cambiamento climatico. Non sarebbe solo immorale, sarebbe un suicidio». È il segretario generale Onu, António Guterres, a parlare ai delegati della Cop24 a Katowice, in Polonia.
Sta andando in malora il «rulebook» il libro delle regole per attuare l’accordo di Parigi del 2015, obiettivo principale di questa Cop24 di Katowice. Sottolinea Vincenzo Ferrara, sul suo Blog. Invece di trovare soluzioni consensuali alla Cop24 di Katowice, molti Paesi hanno posto veti incrociati e blocchi pregiudiziali, che non solo producono una inutile conflittualità fra i diversi Paesi, ma stanno addirittura impedendo al negoziato in corso di progredire.
Allarmato di questa situazione di paralisi, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è tornato oggi di corsa in Polonia per incitare, con un ultimo appello ma anche con un durissimo monito, i delegati e gli oltre oltre 100 capi di Stato e ministri riuniti a Katowice, affinché siano responsabili e concludano il lavoro programmato: il «rulebook», cioè la definizione e l’adozione delle regole per attuare l’Accordo di Parigi. Sottolinea infine Ferrara.
«Le questioni politiche chiave rimangono irrisolte — ha infatti affermato Guterres —. Questo non è sorprendente, riconosciamo la complessità di questo lavoro. Ma stiamo finendo il tempo».
Ed ancora il capo delle Nazioni Unite ha detto che abbiamo il know-how e «un incredibile impulso da tutti i segmenti della società» aggiungendo che «ciò di cui abbiamo bisogno è la volontà politica di andare avanti».
I problemi che dividono
I «cinque problemi» nei negoziati sul clima che generano polemiche e che annacquano sempre di più gli impegni da attuare, allungando a dismisura i tempi di attuazione, vengono puntualizzati da Vincenzo Ferrara.
1 – L’obiettivo è comune, ma molto diverse sono le modalità con cui ciascun Paese pensa di poter raggiungere l’obiettivo comune. I diversi Paesi, infatti, hanno realtà diverse, non solo nei livelli di sviluppo economico e sociale, ma anche come «inquinatori», cioè nel concorrere alle cause dei cambiamenti del clima e come «danneggiati» cioè nel ricevere gli effetti negativi e i danni derivanti dai cambiamenti del clima. Quindi il problema è garantire che la suddivisione degli sforzi da fare per combattere i cambiamenti del clima, sia equa rispetto alle specifiche circostanze in cui si trova ciascun paese. E le polemiche non mancano.
2 – La suddivisione dei Paesi in due principali gruppi: il gruppo dei paesi industrializzati di 43 nazioni e il gruppo dei Paesi in via di sviluppo di 154 nazioni, di cui 49 costituiscono un sottogruppo dei «paesi meno sviluppati». Questa suddivisione individuata per facilitare l’attuazione degli impegni, è invece diventata una complicazione. Il problema principale è la definizione delle responsabilità attuali, ma anche quelle storiche, nei cambiamenti del clima. Poiché le responsabilità sono differenti anche nell’ambito delle stesso gruppo, differenziate (e non solo per gruppi) devono essere anche le azioni. E le polemiche non mancano.
3 – La scienza è benvenuta ed «inclusiva» oppure è qualcosa da non accogliere limitandosi soltanto a «prenderne nota». Sembra un tecnicismo linguistico ma, in realtà, nasconde un problema fondamentale. In che misura la politica si deve basare sulla scienza? E, di conseguenza, fino a che punto è lecito che la scienza indichi soluzioni politiche? Quattro paesi: Usa, Russia, Arabia Saudita e Kuwait ritengono che la scienza non deve guidare la politica e che al massimo si può «prendere nota» di quello che dice la scienza. Diverse e di diversa gradazione sono le opinioni degli altri paesi sul ruolo effettivo della scienza. E le polemiche non mancano.
4 – Le questioni finanziarie. Gli impegni da attuare per combattere i cambiamenti del clima necessitano di risorse finanziarie che, per alcuni paesi, specialmente per i Paesi in via di sviluppo, rappresentano un costo che non possono affrontare. A Parigi, le nazioni donatrici (i paesi industrializzati in primo luogo) si sono impegnate a mobilitare 100 miliardi ogni anno per finanziare le azioni da attuare nei paesi in via di sviluppo. Ma manca la chiarezza su questi finanziamenti: molti paesi industrializzati fanno rientrare questo tipo di finanziamenti nel quadro di quanto già essi fanno come «aiuti allo sviluppo». Altri paesi, soprattutto i Paesi in via di sviluppo, ritengono che si tratti, invece, di finanziamenti «ad hoc» per risolvere gli specifici problemi del clima (mitigazione ed adattamento), da non confondere con gli aiuti allo sviluppo. E le polemiche non mancano.
5 – La cooperazione internazionale in un quadro di reciproca fiducia, perché gli sforzi necessari e gli investimenti economici devono essere comuni per portare a riduzioni consistenti delle emissioni di gas a effetto serra. E gli sforzi possono essere realizzati con una efficace cooperazione internazionale, solo se esistono garanzie e misure tangibili di trasparenza e di condivisione sicura di tecnologie e di know-how. E sul concetto di trasparenza e di sicurezza delle informazioni e del know-how le polemiche non mancano.
R. V. G.