Il no a Kyoto ci costerà salato

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Le scelte per cui rischiamo una supermulta risalgono al governo Berlusconi edizione 2001-2006 e non al governo precedente

Alla ripresa autunnale, insieme a tanti fronti che il governo sta aprendo c’è anche quello ambientale. La storiella che sta tirando fuori è quella di una relazione del Comitato di gestione del Protocollo di Kyoto, formato dai ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, presieduto dal direttore generale al ministero dell’Ambiente. Nello studio, già inviato ai ministri Giulio Tremonti (Economia), Stefania Prestigiacomo (Ambiente), Claudio Scajola (Sviluppo economico), Franco Frattini (Esteri) e Andrea Ronchi (Politiche comunitarie), si sostiene che il piano nazionale delle emissioni per il periodo 2008-2012 ha attribuito agli impianti esistenti 184,7 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, mentre 16,93 milioni di tonnellate l’anno sono state destinate alla riserva nuovi entranti ovvero agli impianti che al momento della notifica del piano nazionale alla Commissione europea non avevano ancora ottenuto l’autorizzazione ad emettere gas ad effetto serra o non erano ancora entrati in esercizio. «La rilevante differenza tra il fabbisogno stimato e l’assegnazione delle quote con il piano nazionale, come previsto ha determinato e sta determinando una situazione di particolare criticità», il che «tradotto» vuol dire che rischiamo di pagare per inadempienza 550 milioni di euro, solo per il 2009, che potrebbero diventare 840 entro il 2012.

Ovviamente è colpa di quei pochi mesi di gestione del governo precedente…

Siccome l’Italia è un paese senza memoria, pochi si ricordano come sono andate le cose.

In realtà la «frittata» non fu fatta da Pecoraro Scanio, che voleva essere il primo della classe, ma proprio dal governo Berlusconi edizione 2001-2006 per sfuggire alle sue responsabilità. Infatti dopo il 1997 (firma del protocollo di Kyoto) e fino all’anno 2000, il Direttore generale del ministero dell’Ambiente e l’allora governo avevano lavorato su una prospettiva di lungo periodo per raggiungere gli obiettivi di Kyoto con un piano nazionale di riduzione delle emissioni di gas serra.

Ma, a partire dal 2001, le cose sono cambiate: l’ordine di scuderia era: i cambiamenti climatici non esistono. Ed infatti ci fu un fiorire di convegni negazionisti «sponsorizzati» dall’allora capo di Gabinetto del Ministro dell’Ambiente. Si sosteneva anche l’inutilità del protocollo di Kyoto perché distorceva gli equilibri economici internazionali (e qui molti giornali andarono dietro a questa tesi…). Il tutto si faceva forza sul fatto che il protocollo di Kyoto non sarebbe mai entrato in vigore perché gli Usa non ne volevano sapere e si era convinti che la Russia non l’avrebbe ratificato. Questa era la convinzione che aleggiava nelle stanze ministeriali.

Invece, la Russia ha ratificato, ed il protocollo di Kyoto è entrato in vigore nel 2005 e ci siamo trovati in braghe di tela. I due piani nazionali di allocazione dei permessi di emissione fatto nel 2005 per i due periodi successivi 2005-2007 e 2008-2012 prevedevano non una riduzione delle emissioni, ma un aumento, tanto che il valore di mercato della tonnellata di carbonio venne svalutata.

Ovviamente, l’Unione europea non la prese molto bene e ci fece più di un richiamo. L’ultimo richiamo del tipo «out-out», per rimetterci in riga lo abbiamo avuto nel 2007, quando era in carica il governo Prodi. Bersani e Pecoraro Scanio hanno cercato di metterci una «pezza» per rientrare entro i limiti a noi imposti (in realtà fu posta solo una un mezza pezza perché comunque il tetto delle emissioni, quantunque fosse stato ridotto rimaneva comunque superiore ai nostri obblighi). Ma ciò nonostante si è andati avanti come se nulla fosse, tanto più che il governo Prodi ebbe vita breve.

Ora, il governo Berlusconi, ormai con l’acqua alla gola, non si può chiamare fuori dicendo che la colpa è del governo che è stato in carica un anno, quando tutta la vicenda è stata impostata, gestita e portata avanti da loro stessi da quasi 10 anni.

Insomma è come se un dietologo avesse detto nel 1997, ad una persona, di dimagrire del 6,5% del suo peso nel giro dei successivi 13 anni (e cioè entro il 2010), perché essendo la persona troppo grassa e pesando 90 kg sarebbe meglio se pesasse non oltre 84 kg.

All’inizio la persona comincia a pensare come organizzarsi con la dieta e magari a fare anche qualche piccolo sforzo. Poi ad un certo momento (nel 2001) dice: ma, forse, questa dieta è una cavolata perché io sto bene. E anche se non fosse una cavolata ho quasi 10 anni di tempo per perdere i 4 kg del peso. E così continua a mangiare come se nulla fosse tanto che si ingrassi ulteriormente di altri 6 kg.

Due anni prima della scadenza qualcuno dice che quello che sta facendo non va bene e che deve urgentemente mettersi a dieta stretta e drastica, altrimenti i 10 kg in più non potrà mai perderli né per la data della scadenza, né oltre.

Quella persona, un anno prima della scadenza si accorge, finalmente, che è praticamente impossibile perdere 10 kg in poco tempo, altrimenti metterebbe a grave rischio la propria salute.

A questo punto quella persona dà la colpa dei suoi errori a quello che due anni prima della scadenza aveva avvisato che era sulla strada sbagliata!

Per questo governo tutte le strade sono buone per evitare le scelte ambientali, sposare quelle commerciali stile veterocapitalismo e, soprattutto, tenere sempre aperto il dibattito elettorale come in una perenne campagna. Quando tutto questo modo in vecchio stile politico sarà finito, solo allora inizieremo a diventare un paese moderno.