Il fenomeno dell’imitazione per studiare l’autismo

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Un metodo finora limitato alle sole scienze cognitive e comportamentali ma con questo studio si potrebbe aprire alla ricerca della comprensione di alcune psicopatologie

L’imitazione per l’uomo è una forma di adulazione: numerosi studi dimostrano che un individuo tende ad assumere attitudini positive verso chi presenta atteggiamenti simili al proprio.

Secondo un recente studio, pubblicato su «Science» e condotto da un gruppo di scienziati dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr), dell’università di Parma e del National institutes of health (Maryland, Usa), lo stesso meccanismo è presente nelle scimmie, al fine di garantire una maggiore cooperazione e coordinazione fra gli individui.

«Le persone spesso adottano posture, atteggiamenti e gestualità tipici di coloro con cui interagiscono» – esordisce Elisabetta Visalberghi, primatologa dell’Istc-Cnr.- Quelli che vengono “imitati” provano una maggiore empatia per gli imitatori e sono più inclini ad aiutarli. Questo feeling è presente anche in altre specie».

Per il loro studio, i ricercatori hanno scelto i cebi dai cornetti, scimmie particolarmente socievoli, tolleranti e flessibili. «A ciascun cebo è stata data una pallina di plastica bucherellata, all’interno della quale avevamo introdotto dell’uva sultanina, che a stento poteva fuoriuscire dai buchi – spiega la primatologa. – Quindi due persone, ciascuna con una palla in mano, si posizionavano di fronte al cebo per replicarne il comportamento».

«Le scimmie hanno cercato in tutti i modi di estrarre l’uvetta: infilando le dita nei buchi, mordendoli per allargarli o sbattendo la palla a terra – prosegue Pier Francesco Ferrari, dell’università di Parma. – Contemporaneamente, uno degli sperimentatori ripeteva questi comportamenti nella stessa sequenza, mentre l’altro compiva le medesime azioni in modo asincrono. Dopo questo semplicissimo “trattamento”, abbiamo riscontrato che i cebi tendevano a passare più tempo vicino allo sperimentatore che li aveva imitati. E quando è stata data loro la possibilità di scambiare un “token” (un oggetto simbolico, nel nostro caso un gettone metallico) per ricevere una nocciolina, le scimmie hanno preferito farlo con lo sperimentatore imitatore, come se avessero sviluppato un senso di vicinanza, di “amicizia”».

«Imitazione e disponibilità verso gli altri hanno avuto un ruolo importante nell’evoluzione della nostra specie. Noi proponiamo che lo stesso principio valga anche per primati come i cebi – sostiene Visalberghi – Molte loro attività, quali mangiare, spostarsi o minacciare un predatore, vengono infatti svolte in relativa sincronia dai membri del gruppo».

Questo studio potrebbe avere importanti implicazioni per la comprensione di alcune psicopatologie.

«Il fenomeno dell’imitazione è stato finora limitato dalle scienze cognitive e comportamentali all’apprendimento di nuovi comportamenti o, nello sviluppo del bambino, all’apprendimento del linguaggio – sottolinea Ferrari. – Il nostro studio apre una nuova prospettiva per cui, attraverso l’imitazione, nel cervello vengono attivate sia le funzioni cognitive sia probabilmente quelle emozionali.

Ciò potrebbe aprire nuove prospettive di ricerca e di intervento clinico ad esempio, con i bambini che presentano deficit dello sviluppo correlati alle competenze sociali ed empatiche, come nell’autismo».

(Fonte Consiglio nazionale delle ricerche)