Pomodori e pesticidi, è allarme rosso

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Inchiesta de «Il Salvagente». L’analisi multiresiduale a cui il giornale ha sottoposto i 12 campioni ha segnalato la presenza di pesticidi legati alla coltivazione in serra, ad esempio i fungicidi (ben 17 molecole diverse). I pomodorini migliori sono risultati essere quelli biologici

Ne consumiamo mediamente 9 chili ogni anno con picchi importanti nei 3 mesi estivi, che corrispondono anche al periodo di raccolta delle varietà più acquistate: è il pomodoro, uno degli ortaggi simbolo dell’identità culinaria del nostro Paese.

Alcune tipologie e in particolare quelle da mensa, diverse dalle varietà destinate all’industria delle conserve e delle passate, vengono coltivate tutto l’anno anche all’interno delle serre in modo da garantire un prodotto da insalata in tutte le stagioni; si tratta generalmente di un prodotto da consumare rigorosamente fresco, buccia compresa, al quale si richiede il più alto grado di pulizia possibile.

Il mensile «Il Salvagente», da sempre attivo nella tutela dei consumatori, ha deciso di dedicare il nuovo numero della rivista proprio all’ortaggio, portandone in laboratorio 12 tipologie di marchi differenti al fine di verificare la presenza di metalli pesanti e pesticidi tramite test oggettivi e indipendenti.

Le varietà finite sotto la lente di ingrandimento sono i pomodorini a grappolo, ciliegino, Pachino e marzanino, tutti reperiti a Roma, e di origine italiana ad eccezione di 3 campioni che provengono dalla Spagna, acquistati presso Lidl, Eurospin ed Esselunga.

Contrariamente a quanto evidenziato dall’inchiesta di aprile sulle insalate in busta, ricche di cadmio con valori vicini alla soglia massima consentita, la situazione dei pomodori è decisamente migliore: il limite di legge è di 0,05 mg/kg, e solo due dei prodotti analizzati ne portano la traccia, seppure dieci volte al di sotto del limite.

Discorso diverso per il piombo e per il rame, il primo classificato come probabile cancerogeno per l’uomo e il secondo associato all’insorgenza di patologie cardiovascolari.

Ad eccezione di un marchio, Agroyal, sono sempre risultati presenti anche se con valori decisamente bassi.

L’analisi multiresiduale a cui «Il Salvagente» ha sottoposto i 12 campioni ha segnalato la presenza di pesticidi legati alla coltivazione in serra, ad esempio i fungicidi (ben 17 molecole diverse).

I pomodorini migliori sono risultati essere quelli biologici, acquistati da NaturaSì ed Esselunga, che in fase di analisi hanno mostrato l’assenza di qualsiasi tipo di residuo.

Ma sebbene tutti e 12 i campioni siano risultati pienamente conformi alle legislazioni in materia, non mancano i punti interrogativi sulle conseguenze che i pesticidi e metalli pesanti potrebbero arrecare all’organismo umano, seppure con valori molto al di sotto dei limiti di legge.

Una delle domande più controverse riguarda proprio il cosiddetto effetto cocktail, vale a dire l’azione combinata sulla salute umana di basse dosi di principi attivi che sono copresenti nell’alimento e cui i effetti sono ancora tutti da chiarire.

Alla luce dei risultati dei test effettuati sorge spontanea una domanda: è possibile coniugare la qualità del pomodoro senza ricorrere a fitofarmaci e pesticidi?

Un nutrito fronte di ambientalisti e agricoltori bio ha chiesto al governo una maggiore tutela dell’ecosistema e dei cittadini, chiedendo al contempo leggi e sanzioni certe contro chi inquina.

L’occasione è offerta dal Pan pesticidi, il Piano d’azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari che ogni cinque anni viene sottoposto a consultazione e poi licenziato dagli esecutivi per governare l’uso dei pesticidi in ambito politiche agricole e ambientali.

Maria Grazia Mammuccini è la portavoce della coalizione Stop Glifosato, e ricorda come nel 2013 «avevamo fatto tante proposte di buon senso, ma non ne è stata accolta neppure una e i ministeri non ci hanno mai dato una spiegazione».

Tra le richieste avanzate c’è la priorità assoluto dell’agricoltura biologica, riducendo l’uso di pesticidi di sintesi: «Ci attendiamo che la superficie da convertire a biologico arrivi almeno al 40% entro il 2030; per raggiungere questo traguardo, però serve un sistema di supporto, ricerca, formazione e informazione per gli agricoltori che scelgono di convertire i propri campi in coltivazioni biologiche».

Si rende anche indispensabile, aggiunge Mammuccini, «una tutela per la produzione biologica, e che venga finalmente applicato il principio che chi inquina paghi. Fino a oggi avviene esattamente il contrario».

Al suo fianco nella battaglia per una rivoluzione verde c’è anche Franco Ferroni, Responsabile Agricoltura e Biodiversità del Wwf Italia, che sottolinea come «i pesticidi impiegati sulle colture hanno come effetto collaterale quello di contribuire alla perdita di biodiversità, causando anche una significativa riduzione delle popolazioni degli organismi utili, tra i quali vi sono gli insetti impollinatori, fondamentali per l’agricoltura. I pesticidi penetrano nel suolo e, quindi, nelle acque superficiali e nelle acque sotterranee, con un danno quindi diffuso a tutti gli ecosistemi».

Soprattutto quelle zone chiamate Natura 2000, una rete di aree protette da norme europee e nazionali a tutela della biodiversità.

Molti di questi siti sono legati ad ambienti agricoli, in cui operano il 12,8% delle aziende agricole censite dall’Istat.

«Nella maggior parte dei siti Natura 2000 viene condotta un’agricoltura convenzionale, con l’utilizzo di pesticidi di sintesi — afferma Giorgia Gaibani, responsabile Natura 2000 della Lipu — nonostante norme europee e nazionali chiedano di ridurre sensibilmente l’uso dei pesticidi eliminando quelli più pericolosi, a tutela della biodiversità e della salute umana».

Se anche questa volta i ministeri coinvolti non dovessero prestare attenzione alle richieste emerse dal Pan pesticidi, si presenterà ancora una volta un ricorso alla Commissione europea.

 

(Fonte «Il Salvagente»)