La lingua è strumento ma il pensiero è nel suono

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Nel 65° anniversario dell’arrivo di don Milani a Barbiana, ricordiamo che abbiamo una Barbiana in ogni aula: il resto del mondo così prossimo a noi, per pluralità di etnie, così indispensabile a noi per il comune habitat, così nostro per il superamento delle barriere e dei confini dispone ed educa a sollevare lo sguardo dal proprio tavolo di lavoro di aula e a proiettarsi verso il mondo che è oltre ed è di tutti

Ricorre il 65° anniversario dell’arrivo di don Milani a Barbiana. L’occasione ci suggerisce di confrontare un aspetto del suo insegnamento con la crisi delle conoscenze linguistiche degli studenti italiani, da poco rivelata dai risultati della valutazione nazionale.

La stima di comprensione dei testi di italiano da parte degli studenti, in particolare i frequentatori delle scuole del mezzogiorno, allarma e merita la diagnosi delle cause affinché dall’indagine si possa mirare alla soluzione del problema che, prima di essere didattico, è sociale.

Perché sorge l’idea dell’accostamento tra problema linguistico italiano e don Milani? In una lettera a «La Repubblica» (1° agosto, pag. 23) lo scrivente conclude le sue osservazioni sulla necessità di «dare più forza all’italiano» con un’espressione che bene sintetizza tutto il contenuto della lettera: «L’uso preciso e consapevole della parola misura lo spazio della nostra libertà critica, della nostra legittimazione civile e della nostra emancipazione spirituale». Da qui la necessità che la scuola riaccosti gli alunni alla lingua.

Come non riandare al pensiero del prete scomodo che, dai colli della sua chiesa, sosteneva i discepoli campagnoli nell’acquisizione di più parole perché chi se ne fosse garantito il maggiore possesso avrebbe goduto più potere mentre per essi ignorarle avrebbe comportato la conseguente soggezione?

La ricerca per risolvere il grave problema linguistico dei nostri studenti deve tener conto dei contesti della lingua letta e parlata. I risultati della valutazione nazionale, infatti, collocano geograficamente le maggiori resistenze. Questo suggerisce agli operatori della formazione la necessità di indagare per interpretare il fenomeno.

A prescindere dal fatto che gli studenti possano annoiarsi di apprendere regole, di esercitarsi nelle funzioni grammaticali e di sintassi, dobbiamo riconoscere che, fin da piccoli, maneggiano strumenti di lettura e scrittura tanto da districarsi abilmente con veloce moto delle dita in messaggi sincopati per esternare pensieri e emozioni, scambiando con i destinatari tutto in tempo reale.

Questa loro dinamica poggia su due componenti: la velocità tra messaggio e sua lettura in tempo reale e l’amicizia con i destinatari che possono essere una moltitudine sconosciuta. Scrivente e lettori sono in una palestra non necessariamente riconducibile a conoscenza.

La scuola ha, su questo percorso, l’occasione della sua mediazione: prende per buono quanto l’alunno sa e può fare per poi seguirne tutta la declinazione della riflessione.

Alla velocità e alle tipologie della comunicazione web l’insegnante offre la guida del processo interiore che consente all’alunno l’acquisizione della capacità critica, possibile attraverso l’esercizio intelligente del confronto, della distinzione, delle ipotesi e delle prove. Ciò provoca l’arricchimento del serbatoio intellettivo indispensabile per il riutilizzo critico delle conoscenze. Si può ritenere che il libro e la carta bianca, prima accantonati, rientrino in gioco assicurando tempi estesi e parole assaporate.

Se questo è «un o il» problema, la scuola coglie la sfida e la può vincere. Infatti l’insegnante che ricerca le cause della resistenza dell’alunno nei confronti del possesso ottimale linguistico trova di per sé gli strumenti per riproporgli in modo proporzionato il viaggio dell’accoglimento.

L’operazione linguistica, complessa per la quantità dei suoi contenuti ma soprattutto per le sue finalità, non è ad appannaggio solo di una disciplina (come l’Italiano) ma anche di tutte le altre che alimentano la formazione dei saperi. La conoscenza della propria parlata non elegge a obiettivo suo la capacità interpretativa dei soli contenuti letterari: le scienze, nella loro svariata accezione, nutrono linguaggi specifici che coabitano nel complesso linguistico.

La reintroduzione dell’Educazione Civica

Queste riflessioni sono una premessa che ci aiuta a leggere le nuove disposizioni legislative sulla reintroduzione dell’Educazione Civica in ogni ordine di scuola dello Stato.

Poiché il dispositivo legislativo la tratta giustamente come materia e disciplina di insegnamento la norma già in vigore, operativa fra pochi giorni, vedrà gli insegnanti dal primo momento del loro rientro, impegnarsi nell’articolazione degli orari e soprattutto delle «educazioni», secondo la varietà e complessità previste dalla normativa in forza della sua trasversalità.

Dei suoi 12 articoli i primi cinque toccano da vicino gli insegnanti perché sanciscono l’organizzazione del lavoro formativo, la gestione delle unità scolastiche, l’organizzazione di ogni singolo Consiglio di interclasse e di classe oltre che del Collegio e del Consiglio di Istituto.

Attraverso tutta la normativa spicca il senso civico che si vuole il più esteso e profondo possibile. Infatti non di sola conoscenza di strutture istituzionali si tratta ma del senso e della partecipazione civile che gli studenti dovranno maturare durante i percorsi dei curricoli.

La reintroduzione della disciplina presenta alcune particolarità interessanti:

  • viaggia dentro la prospettiva di educazione nazionale e europea per cui i suoi contenuti e i traguardi relativi sono ad ampio spettro relativi alla conoscenza degli organi regionali, nazionali e europei;
  • il suo insegnamento viene dichiarato trasversale: la ricaduta esige il coordinamento che di per sé è funzione democratica per cui l’intesa tra docenti «significa» agli studenti il livello apprezzabile sulla cooperazione nel rispetto delle differenze;
  • la valutazione prevista coordinata dà la cifra del valore che si vuole riconoscere alla disciplina reintrodotta per la quale sono previsti criteri e strumenti di lavoro anche in rete e di collaborazione con le istituzioni locali e del volontariato. Questo versante invoglierebbe gli alunni a non disgiungere i loro comportamenti quotidiani generali dalle finalità sociali a cui la nuova materia li dispone;
  • anche se il Ministero si riserva il controllo attraverso l’istituendo Comitato a cui devono far capo le relazioni annuali e la convocazione dello stesso Comitato ogni due anni, la creatività dei docenti fornirà esempi e progetti significativi e creativi, le scuole saranno sempre produttrici di prestazioni e performance sorprendenti.

L’educazione linguistica

L’educazione linguistica riscuoterà altro possibile successo e amplificazione dallo studio e dall’esercizio dei vari traguardi che l’Educazione Civica prevede si debbano raggiungere.

C’è infatti un sotteso fine che è elemento non secondario nel paradigma formativo, cioè l’inclusione. Qui l’uso e la frequentazione delle lingue e dei linguaggi svolgono il ruolo di democratizzazione del tessuto quotidiano.

L’iniziativa di don Milani prendeva il via da un assunto in parte didattico e in parte «politico», per le sue finalità sociali. Parole alla pari, perché alla pari sono le coscienze e la partecipazione: parole e politica sono il connubio nella mente ragionevole perché il possesso il più ampio possibile delle parole restituisce ai singoli i diritti di appartenenza.

Eppure non basta il possesso perché la parola risulterebbe un flatus vocis, suono e addirittura rumore, se il pensiero riflettente restasse assente. La lingua è strumento ma la ricchezza del suono la riconduce all’origine nobile: il pensiero, i valori alimentati, il dialogo prodotto tra menti amiche, il tutto nella scuola in cui l’approccio tra alunno e insegnante è l’incontro tra intelligenze, non solo tra le menti; si tratta, infatti, di reciprocità inclusiva e riflettente e non di input e di percezioni meccaniche tra facoltà.

L’educazione linguistica è educativa per il suo dare al suono la componente armonica: l’interpretazione, frutto della coscienza che sollecita la partecipazione.

Linguaggi e coscienza politica si fondono perché se i linguaggi sono strumenti del dialogo è lì che l’educazione giuoca il suo ruolo e, con la libertà del linguaggio in azione, si nutrono i rapporti che affinano la coesistenza pacifica.

Abbiamo una Barbiana in ogni aula: il resto del mondo così prossimo a noi, per pluralità di etnie, così indispensabile a noi per il comune habitat, così nostro per il superamento delle barriere e dei confini dispone ed educa a sollevare lo sguardo dal proprio tavolo di lavoro di aula e a proiettarsi verso il mondo che è oltre ed è di tutti.

Francesco Sofia