Ciò che sta succedendo in questi giorni a Venezia è l’ennesimo disastro annunciato, per il quale il WWF in primo luogo vuole esprimere solidarietà alle famiglie delle vittime e di chi ha subìto danni, oltre alla preoccupazione per i danni al grande patrimonio della città. Il record dell’acqua alta a Venezia e l’eterna vicenda del MoSE dimostrano come non basti mai operare con la sola logica delle grandi opere pubbliche quando si debbano affrontare fenomeni naturali esponenzialmente più frequenti e intensi per effetto dei cambiamenti climatici, quindi ampiamente prevedibili e «previsti» sottolinea il Wwf.
Invece di sposare acriticamente un progetto affidato senza gara, che non è «mai stato sottoposto a Valutazione di Impatto Ambientale» e che va avanti da circa 20 anni, nonché travolto dalle vicende giudiziarie qual è il MoSE, per la Laguna di Venezia sarebbe stato meglio, come più volte richiesto anche dal Wwf, che fossero stati messi a raffronto progetti meno complessi dal punto di vista tecnologico e meno costosi, più rapidi nella loro realizzazione e più flessibili rispetto alla geomorfologia lagunare, quali i 9 presentati a suo tempo dal Comune di Venezia tra il 2005 e il 2006, e che nel contempo garantissero risorse per quegli interventi diffusi che sono sempre necessari per mantenere il delicato equilibrio idraulico e naturalistico della Laguna di Venezia. In questo drammatico contesto c’è chi chiede il ripristino delle quote di profondità del canale petroli per facilitare l’ingresso delle grandi navi, riproponendo una delle cause principali dell’ingovernabilità dell’acqua alta, segnalata come tale in tutti gli studi sin dagli anni 70.
L’acqua alta record che si è registrata a Venezia dimostra come sia stato un errore madornale affidarsi alle virtù miracolistiche di una grande opera quale il MoSE, a cui è stato dato il via nel 2003 e che forse sarà completata nel 2021, affidata senza gara al Consorzio Venezia Nuova, dal costo stimato a consuntivo di circa 5,5 miliardi di euro, che sta venendo realizzato sulla base di ben 150 stralci esecutivi (come denunciò la Corte dei Conti nel 2009) e che costerà all’anno, a regime, almeno 80 milioni di euro (per la manutenzione e per il personale che ne deve assicurare il funzionamento), come ha rivelato nel gennaio 2018 il provveditore alle opere pubbliche Roberto Linetti se e quando verrà completata.
Il Comune di Venezia, peraltro, deve urgentemente approntare una propria strategia e un proprio piano di adattamento al cambiamento climatico, coinvolgendo anche Regione e Governo. Non si può continuare a parlare degli impatti del riscaldamento globale previsti, incluso l’innalzamento del mare, solo nei convegni e nelle riunioni scientifiche, omettendo di adottare le doverose strategie e gli interventi più efficaci, tra cui i più efficaci riguardano proprio il ripristino dei sistemi naturali. Ricordiamo che l’Italia non ha ancora rivisto e approvato il Piano nazionale di Adattamento, ma questo non può rappresentare un alibi per le altre istituzioni coinvolte che devono comunque lavorare sulla propria parte. Resta la certezza che se non limiteremo il riscaldamento globale a +1,5°C, e comunque ben al di sotto dei +2°C, non ci sarà adattamento che tenga, e il rischio per alcune delle perle costiere italiane diventerà altissimo.
(Fonte Wwf)