Clima, senza azioni la produttività in calo del 20%

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Uganda Image by Charles Nambasi from Pixabay
Image by Charles Nambasi from Pixabay
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Uno studio svolto sull’Uganda. Meno alimentazione, meno produttività, meno sviluppo: i cambiamenti climatici minacciano le aree rurali dei paesi più poveri. Un nuovo studio realizzato con il contributo della Fondazione Cmcc mostra gli impatti di una mancata azione per il clima sull’offerta di lavoro nel ventunesimo secolo e come i responsabili decisionali dovrebbero agire oggi per attuare in tempo politiche che ostacolino questa tendenza

Sappiamo che i cambiamenti climatici influiscono sulla quantità e sulla qualità della produzione alimentare nel mondo, riducendo la disponibilità di cibo e l’assunzione di nutrienti. Nei paesi in via di sviluppo, dove il settore agricolo domina l’economia, gli impatti dei cambiamenti climatici sulla filiera agricola ostacoleranno in modo sostanziale la crescita economica e il benessere delle comunità locali.

Un recente studio realizzato con il contributo dei ricercatori della Fondazione Cmcc (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) analizza il caso dell’Uganda, un paese dell’Africa subsahariana già alle prese con il problema della malnutrizione e suscettibile agli effetti dei cambiamenti climatici, dove circa l’80% della popolazione dipende dall’agricoltura irrigata dall’acqua piovana per il proprio sostentamento. L’analisi fa luce sull’importante, ma ancora poco studiato, legame tra cambiamenti climatici e offerta di lavoro, passando per il consumo alimentare.

Utilizzando i dati longitudinali derivanti da interviste svolte in Uganda, combinati con dati climatici ad alta risoluzione, lo studio esamina empiricamente sia l’effetto diretto degli shock climatici sull’offerta di lavoro settimanale (definita come il numero di ore lavorate a settimana per persona) sia il loro effetto indiretto, attraverso la variazione delle assunzioni dietetiche dovute a un ambiente più caldo.

«Per la prima volta abbiamo fornito prove empiriche che collegano i cambiamenti climatici, l’alimentazione e l’offerta di lavoro — spiega Shouro Dasgupta, ricercatore presso la Fondazione Cmcc e Rff-Cmcc European Institute on Economics and the Environment (Eiee) —. Sappiamo che i cambiamenti climatici avranno un impatto sull’alimentazione, e che questa svolge un ruolo chiave nel miglioramento della produttività e nella crescita economica, in particolare in quelle regioni in cui la forza lavoro è costituita principalmente da individui poco qualificati e denutriti. Il nostro studio dimostra che, all’aumentare della temperatura, inizialmente l’offerta di lavoro settimanale aumenta: in un ambiente mite, le persone possono lavorare più ore alla settimana. Ma questo vale solo fino al raggiungimento di una temperatura media settimanale di 21,3°C. Oltre tale soglia, il numero di ore lavorate per persona diminuisce».

Fig.1 cmcc clima
Relazione tra temperatura media settimanale e offerta di lavoro settimanale. Relazione non lineare tra la temperatura media settimanale e ore lavorate per persona in una settimana (linea blu scuro) per il settore poco qualificato, con intervallo di confidenza del 95% (punte blu chiaro).

Le temperature intermedie, spiega la letteratura medica, sono anche quelle che consentono di ridurre l’apporto calorico necessario, mentre gli estremi di temperatura, siano essi bassi o alti, portano ad una maggiore necessità di energia: la temperatura ha una relazione non lineare (infatti, è a forma di U) con l’apporto calorico necessario.

«A temperature molto fredde o molto calde, il corpo umano ha bisogno di più energia, e quindi di più cibo, per regolare la sua temperatura — spiega Dasgupta —. Grazie al nostro studio, ci sono per la prima volta prove empiriche di questo, poiché abbiamo osservato il reale apporto calorico settimanale degli individui in relazione alla temperatura settimanale». Ciò dimostra che un clima più caldo può anche avere un effetto indiretto sull’alimentazione, aumentando la quantità di calorie necessarie.

Inoltre, dalla ricerca emerge che un aumento del consumo calorico del 10% comporta un aumento dell’offerta di lavoro di quasi un’ora alla settimana. «Una serie di interviste ripetute ai cittadini ci ha permesso di identificare due effetti distinti del meteo e del clima sull’economia: il primo riguarda l’effetto di breve termine delle condizioni meteorologiche sulle ore lavorate e il secondo riguarda l’effetto del clima dell’anno precedente sulla produzione agricola e quindi sull’approvvigionamento alimentare. I risultati suggeriscono che un aumento del riscaldamento globale può avere un impatto dannoso sia sull’offerta di lavoro sia sulla sicurezza alimentare», afferma Johannes Emmerling, ricercatore senior presso la Fondazione Cmcc e capo dell’unità Integrated Assessment Modeling di Eiee.

Fig.2 cmcc clima
Relazione tra temperatura media settimanale e apporto calorico settimanale. Relazione non lineare tra la temperatura settimanale media e l’apporto calorico settimanale (linea blu scuro) per il settore poco qualificato, con intervallo di confidenza del 95% (punte blu chiaro).

I ricercatori hanno utilizzato questi risultati empirici per parametrizzare un Modello a Generazioni Sovrapposte, al fine di comprendere le proiezioni al futuro degli impatti di lungo termine che i cambiamenti climatici, se non verranno intraprese azioni per mitigarli, avranno sulla sicurezza alimentare, sullo sviluppo del capitale umano e sul benessere sociale. «Abbiamo modellizzato il comportamento economico delle famiglie Ugandesi e dimostrato come l’effetto del calo nell’offerta di lavoro dovuto all’innalzamento delle temperature sarà amplificato da un aumento della domanda di consumi alimentari», ha aggiunto Soheil Shayegh, ricercatore alla Fondazione Cmcc e Eiee. I risultati dimostrano che in Uganda, entro la fine del secolo, il lavoro scarsamente qualificato aumenterà a causa della crescente domanda di prodotti agricoli. Un aumento del numero di lavoratori scarsamente qualificati, combinato con gli impatti dei cambiamenti climatici sulla produttività del settore agricolo e sull’offerta del lavoro, ridurrà la produttività del 20% nell’ultima parte del secolo senza un’adeguata azione per il clima.

«I nostri risultati possono essere utilizzati per identificare le aree a rischio e per promuovere o incoraggiare specifiche strategie di adattamento ai cambiamenti climatici — conclude Dasgupta —. Sappiamo che, soprattutto nelle aree rurali, si dovranno necessariamente intraprendere diverse strategie di adattamento per difendere i propri mezzi di sostentamento. I nostri risultati possono essere utilizzati dai decisori politici per identificare ed implementare strategie specifiche».

Le strategie suggerite includono la modifica dei tempi della semina, la scelta di tipi di colture più resistenti alla siccità e al calore, l’agricoltura conservativa, l’uso di fertilizzanti, l’irrigazione e la diversificazione del reddito.

(Fonte Cmcc)