Si deve cambiare ora per non morire

1984
inquinamento epidemie covid
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C’è una rete silenziosa che continua ad estendersi, a tessersi più fitta e forte, a servirsi anche di tecnologia modernissima. Usa ciò che il sistema snobba e scarta perché non fa lucro. Sta imparando a non usare e non aver bisogno di capitali finanziari; è solidale e sobria; non conosce violenza né prevaricazione o avidità, e fa dell’armonia il suo alimento spirituale. Secondo i canoni classici potremmo dire che decresce felicemente


Lo stare a casa degli italiani, per contrastare la pandemia da Covid-19, non può addormentare le menti e l’informazione. Per questo «Villaggio Globale» cerca di tenere vivo il dibattito su temi stringenti che riguardano la nostra società. Problemi irrisolti, drammi e sviluppo di progetti urgenti per continuare il cammino della nostra società. Per questo riproponiamo un articolo, quasi profetico, già pubblicato nel n. 87 del nostro Trimestrale,  che fa riflettere sulla necessità di un urgente cambiamento dei nostri stili di vita.

 

Una canzone della, per nostra fortuna, intramontabile Fiorella Mannoia recitava «come si cambia per non morire…». Mai parole sembrano più profetiche di queste, purtroppo.

In un qualificato gruppo, nato con le migliori intenzioni di praticare e diffondere la cultura ambientale a cui immeritatamente partecipavo, e che inesorabilmente veniva attratto dalla pratica dell’autocoscienza commemorativa, tempo fa si parlava proprio di questo: come mai, nonostante più di mezzo secolo di lotte, proposte e propaganda ambientalista, sembra proprio che nulla sia cambiato? E giù fior di analisi, recriminazioni, ammissioni o scarichi di colpe e responsabilità, idee di nuovi metodi di comunicazione e ricerca di fulcri e grimaldelli per smuovere e catalizzare il cambiamento. Un esercizio certamente sano e giusto, almeno per la parte propositiva, ed è meraviglioso che esista ancora gente che si impegna così, con queste idee e ideali. Alla peggio si tiene il lumino acceso, come suol dirsi, quello che si spera possa un giorno servire a riaccendere il fuoco della rinascita sostenibile della nostra umanità.

Alla peggio, appunto. E alla meglio?

Cosa non ha funzionato

Visto che una setta di templari ambientalisti, custode dell’ortodossia rituale ecologica, certamente non ci manca né attira, la risposta che in questi ambienti culturali si cerca affannosamente è proprio quella: può veramente determinarsi un cambiamento così profondo e radicale in un tempo così breve quale quello che ci resta prima della catastrofe degenerativa del globo? Perché se non è possibile, chi ce la fa fare a sbattere ancora la zucca contro il muro? Beh, come si usa, partiamo da che cosa si è già provato e non ha funzionato, così, giusto per non perseverare ostinatamente nell’errore, se errore c’è stato. Poi vediamo se si possono cogliere veri segnali di cambiamento e come li possiamo sostenere.

Non ha funzionato la scienza ambientale: sta lì, eccelsa, contributiva e pronta a fornire analisi e soluzioni, dalle più efficaci alle più suggestive; ma dalla sua splendida vetrina sono state prelevate solo le cose che non hanno cambiato veramente il sistema. Il meglio è tutto pronto, ma sta a prender polvere.

Non ha funzionato il terrorismo della comunicazione, l’evocazione degli scenari più catastrofici o la più recente molla dei rischi per la salute. Al massimo ha consolidato la temibile Sindrome di Nimby, quando qualche cosa di particolare è stata percepita come rischio prossimale e incombente da piccoli gruppi di popolazione. Accettato o scongiurato il rischio locale, è finita lì.

Non ha funzionato la religione, visto che, nonostante eccelse recenti proposizioni come quelle Papali, chiese, sinagoghe e moschee si riempiono di persone che, appena fuori, riprendono candidamente a fare tutto ciò che facevano prima, siano essi potenti o succubi, più o meno culturalmente o ideologicamente illuminati (me compreso, ovviamente, che alle liturgie comunque partecipa poco).

Non hanno funzionato i grandi summit mondiali, non fosse altro che per la timidezza e lentezza delle misure adottate rispetto alla velocità dei fenomeni che si vorrebbero arrestare o contrastare, ammesso che tutti i governi partecipanti le adottino e non si tirino bellamente indietro, come accade.

Non ha funzionato la trasposizione in politica dei contenuti ambientalisti, né nei partiti storici né con la nascita di formazioni politiche tematiche. Chiacchiere a parte, i tempi dei mandati politici sono troppo più corti dei tempi di ritorno visibili di eventuali scelte drastiche, per cui nessuna classe politica sembra potersele permettere, una volta al governo; più tranquillo ed elettoralmente remunerativo stare nei binari, dove è anche più facile il baratto delle responsabilità fra presente passato e futuro.

Non ha funzionato l’educazione, per grandi e piccini; troppo più efficaci e costanti sono le sirene consumistiche e del finto benessere, o le chimere di ricchezza, successo e potere perché le si possa abbandonare come ci si sfila un soprabito; anche ad avere la forza di farlo, qual è l’alternativa di vita pronta e praticabile? I ricchi, potenti e famosi magari qualche paradisello dorato dove fingersi alternativi, per ora, lo trovano o se lo costruiscono, e al diavolo il resto del mondo. Ma tutti gli altri?

Non ha funzionato la politica dei parchi e delle aree protette. Nulla togliendo alla loro funzione di servitori ecosistemici, non hanno rappresentato l’innesco di modelli diversi per una contaminazione positiva; paradossalmente la nascita di questi ambienti apparentemente protetti hanno costituito alibi per devastare tutto il resto del territorio. Purtroppo non reggeranno neanche a lungo ai cambiamenti climatici e all’incombere del degrado; quel salvadanaio ecologico, prima o poi, si dovrà rompere.

Imparare dal dolore

E allora, forse ci resta la profetica frase della canzone? Cambieremo solo quando non farlo significherà morire? Come pensava il compianto fisico Marcello Cini nel suo ancora attualissimo «un paradiso perduto», l’evoluzione va sempre per catastrofi? Forse, e dico forse, non necessariamente. Certo è nella dinamica della vita stessa, imparare solo dal disagio e dal dolore, mentre l’agio blocca e addormenta, ma disagio e dolore sono talmente diffusi oggi che forse non sarà necessario attenderne altro, e comunque non è il caso di augurarselo. E infatti qualcosa sta cominciando a funzionare per davvero.

Non si sente né si vede molto, perché questo nuovo non ci tiene ad attirare l’attenzione, per non essere percepito come possibile minaccia da quei potenti di prima; quando si mostra appare debole, disorganizzato e poco attraente; in sostanza non ha appeal, non è coolinn (per ora). Chi ne fa parte non mostra un carisma particolare, non si attacca all’iPad o allo smartphone e difficilmente lo si vedrà in un selfie di un post, ma sa comunque tutto di questi moderni strumenti di tortura di massa. Popola qualche campagna o qualche borgo, o si incontra per piccoli progetti urbani che non muovono capitali. Ma comincia a popolare anche qualche area artigianale e qualche grosso comune, a tirarsi dietro qualche scienziato o economista importante, qualche giovane politico di nuovo conio, che a sua volta arriva addirittura a proporre qualche legge strana, che nessun altro capisce bene e vota ignaro.

Il bello è che tutto ciò non nasce solo da noi; anzi è già più forte dove c’è più povertà; la rete silenziosa continua ad estendersi, a tessersi più fitta e forte, a servirsi anche di tecnologia modernissima. Usa ciò che il sistema snobba e scarta perché non fa lucro. Sta imparando a non usare e non aver bisogno di capitali finanziari; è solidale e sobria; non conosce violenza né prevaricazione o avidità, e fa dell’armonia il suo alimento spirituale. Secondo i canoni classici potremmo dire che decresce felicemente.

È lei la speranza di cambiamento della nostra epoca, ma non ne voglio parlare troppo. Chi ha occhi onesti sa dove guardare; quelli disonesti non sarò io a guidarli!

 

Massimo Blonda, Biologo ricercatore Cnr