Il nostro futuro si regge ancora sull’ambiguità

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Se non partiamo dall’accettazione della realtà del Pianeta, dall’accettazione di leggi che non possiamo e non dobbiamo governare, se non partiamo dall’accettazione della variabilità e quindi della ricchezza umana, non riusciremo a fare niente di buono e saremo sempre in lotta con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente

Una sfida globale richiede una risposta globale. La comunità scientifica sta dando l’esempio anche se, in verità, era già strutturata in questo modo. Infatti, solo da comunità di scienziati sono venuti, fino ad ora, appelli e allarmi sulle conseguenze delle scelte politiche.

Ormai anche le pietre sanno che i nostri mali derivano dal disequilibrio ambientale innescato dalle azioni dell’uomo.

La transnazionalità era un concetto acquisito sin da quando ci si rese conto che un pinnacolo di aria inquinata non riconosce confini, così come un corso d’acqua o il mare. Da qui una serie di accordi internazionali che hanno segnato un inizio di primavera di sana gestione dell’ambiente.

Un’azione che ora non esiste più. Persino le nazioni più avvedute, che in forza della loro indole e delle conquiste culturali raggiunte hanno continuato il loro cammino fino ad arrivare a stili di vita encomiabili, persino queste nazioni ora sono chiuse alle ragioni dei ritardatari.

La selezione che la pandemia sta perpetrando era in realtà già iniziata ed ha trovato quindi terreno fertile. Quella organizzazione nuova ed evoluta della società, che avremmo dovuto costruire con il consenso, ora la costruiremo con la forza se vorremo sopravvivere.

I razzismi, frutto di un crescente egoismo, la bassa economia, frutto di vedute grette e corte, i politici improvvisati, frutto di privilegi impoverenti, tutto è destinato a sparire, a impoverirsi, a esaurirsi. Ormai il re è nudo.

L’attuale generazione, quella che ha costruito questa impalcatura, quella che ha alimentato e si è nutrita della sofferenza delle persone, è destinata o per discredito o per la dura legge anagrafica, a scomparire.

Ma l’egoismo, che fa parte della natura umana, cambia forma e modo di comunicare ma non muore.

Per cui non dobbiamo aspettarci una nuova primavera.

Solo sconfiggendo i meccanismi che alimentano l’egoismo potremo dichiararci fuori pericolo.

Noi non abbiamo ancora deciso da che parte stare, non abbiamo ancora assimilato il concetto che siamo parte di questo pianeta. E se ci è stato imposto di vivere sulla Terra, o se ci siamo capitati per sbaglio, o se non siamo stati capaci, fino ad ora, di lasciarlo, ancora ci sentiamo, comunque, estranei, ospiti e solo ora ci stiamo accorgendo di essere ospiti indesiderati.

Le conoscenze acquisite non ci sono servite per vivere meglio, anche, ma sono servite soprattutto per sfruttare meglio le risorse.

L’ambiguità governa il mondo. Nel dubbio l’uomo ha messo a punto un sistema di sopravvivenza basato sull’ambiguità.

Guardando il percorso di nazioni evolute, quelle che sono più avanti nelle conquiste tecnologiche, nella realizzazione di una società meglio organizzata o nell’uso della forza, questo percorso è evidente.

Dal razzismo ancora fortemente presente in Usa alla nascita qua e là di comunità para religiose che propongono percorsi che noi indicavamo come superstizioni e all’assenza di un sistema sanitario giusto. Dai comportamenti all’avanguardia come soluzioni e funzionamento della società in nazioni come la Norvegia o il Giappone e poi le loro scelte nella caccia delle balene…

E quando si passa ad analizzare il dettaglio dei comportamenti, per giustificarsi, si è acquisito un nuovo concetto, quello della eterogeneità di una comunità rapportata alla sua vastità. Così questo concetto funziona dagli Usa alla Cina e all’India ma è valido anche per la Germania, la Gran Bretagna e l’Italia e persino per le regioni… Certo, perché è l’uomo ad essere un insieme di individui diversi.

Un concetto che è in lotta da sempre con le leggi, l’economia, la sanità. Ma mentre per la biosfera questa è una ricchezza, per l’uomo diventa un ostacolo. Perché chi comanda ha bisogno di avere il pieno controllo.

Se non partiamo dall’accettazione della realtà del Pianeta, dall’accettazione di leggi che non possiamo e non dobbiamo governare, se non partiamo dall’accettazione della variabilità e quindi della ricchezza umana, non riusciremo a fare niente di buono e saremo sempre in lotta con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente.

Tutto ciò lo spiegano benissimo la filosofia e la scienza. Ed ora ce lo stanno dimostrando, a caro prezzo, anche le pandemie. L’attuale, quelle passate avvenute sempre più ravvicinate e certamente le future.

Mettiamoci l’anima in pace, questa è la strada, se vogliamo percorrerla. Dobbiamo dire addio a tutto il ciarpame che ci portiamo addosso. Dobbiamo costruire questo cammino che sarà lungo e in cui noi saremo solo partecipanti.

Ignazio Lippolis