Nonostante la pandemia da Sars-Cov-2, mettere al bando il commercio mondiale di fauna selvatica non è impresa facile. In molti Paesi è fonte di sostentamento per le comunità locali rurali. L’Oie, tra mille difficoltà, sta tentando di invertire questa rotta
In un precedente articolo abbiamo affrontato, sia pure in modo non particolarmente approfondito, il rapporto tra pandemia Sars-CoV-2 ed i chirotteri asiatici, i pipistrelli, accusati di esserne serbatoio. Da loro il virus avrebbe compiuto il salto di specie, forse duplice attraverso i pangolini africani, per arrivare all’uomo. Il passaggio sarebbe avvenuto materialmente nel mercato dei selvatici a Wuhan, in Cina.
Tuttavia in Italia, ed ancor di più nei servizi sanitari regionali, non si è avuta notizia di un approccio medico interdisciplinare alla pandemia, ossia che tenesse insieme le professionalità della medicina umana e di quella veterinaria. Fa eccezione il coinvolgimento degli Istituti zooprofilattici ma soltanto per l’utilizzazione dei loro laboratori di analisi. E dire che Ilaria Capua, ormai divenuta meritatamente star televisiva antiCovid-19, è medico veterinario ma sembra quasi che lo si voglia tener nascosto.
Il documento sul commercio di fauna selvatica
Ad aprile scorso il gruppo di lavoro sulla fauna selvatica dell’Organizzazione mondiale per la sanità animale, Oie, l’omologo dell’Oms per la sanità umana, ha messo a punto un documento sul rapporto tra commercio di fauna selvatica e le malattie zoonotiche emergenti. Il breve statement afferma che «la maggior parte delle malattie infettive recentemente emerse hanno origini faunistiche, tra queste Lassa, Monkeypox, Marburg, Nipah e numerose altre malattie virali.
«All’interno della famiglia Coronavirus, i virus zoonotici sono stati collegati all’epidemia di grave sindrome respiratoria acuta (Sars) nel 2003 e all’epidemia della sindrome respiratoria del Medio Oriente (Mers) rilevata nel 2012.
«La pandemia di Covid-19 è derivata dall’introduzione di un nuovo Coronavirus (Sars-CoV-2) nelle popolazioni umane. Mentre il meccanismo specifico di Sars-CoV-2 non è stato identificato definitivamente, si sono verificate interazioni temporali incrociate (e forse multiple) della trasmissione del patogeno attraverso più specie».
L’Oie riconosce la ripetuta comparsa di malattie zoonotiche ed il collegamento di alcune di queste lungo la catena del commercio di animali selvatici. Sars ed Ebola sono esempi recenti di malattie che hanno provocato gravi crisi socioeconomiche in conseguenza del commercio mal regolato della fauna selvatica.
Ridurre il rischio sanitario del commercio di selvatici
È chiaro che l’Oie, in quanto Organizzazione di governi, usa parole felpate e diplomatiche per non urtare la suscettibilità dei 182 Paesi membri compresa la Cina, ma l’ammissione del collegamento tra commercio di fauna selvatica ed epidemie e pandemie non è poca cosa. Secondo l’Oie «il commercio di animali selvatici costituisce una minaccia per la salute degli animali e per il benessere, causa l’impoverimento di biodiversità e può risultare un serio problema di salute pubblica. Il commercio ha portato a gravi effetti dannosi sulla biodiversità, sulla conservazione delle specie determinando l’esaurimento delle risorse dei Paesi membri Oie».
L’Oie riconosce pure che il commercio di specie selvatiche è un importante fonte di proteine, reddito e mezzi di sussistenza per molte comunità locali o rurali. «Ma — prosegue l’Oie — questo deve essere bilanciato con i rischi summenzionati. Pertanto, è necessario fornire supporto legale, sostenibile e responsabile all’uso della fauna selvatica fornendo validi orientamenti, standard e valutazioni del rischio e degli strumenti di gestione».
L’Organizzazione sta predisponendo linee guida e standard per il commercio di fauna selvatica basati su orientamenti e principi regolatori per ridurre il rischio sanitario e per supportare il benessere animale e la conservazione della biodiversità.
Infine, l’Oie «è impegnata a comunicare misure di rischio e prevenzione alle parti interessate per aumentare la conoscenza e consapevolezza del ruolo dei servizi veterinari per ridurre gli eventi di spillover e per informare le popolazioni a rischio al fine di adottare comportamenti appropriati».
Fabio Modesti