Tumori a Gioia, i risultati dell’Aress sono davvero rassicuranti?

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cartina gioia del colle
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Il commento di Roberto Cazzolla Gatti autore del Rapporto di denuncia

L’Agenzia regionale conferma chiaramente le evidenze sugli eccessi di mortalità per molte tipologie di tumore rilevate nel precedente rapporto e, in più, rileva il dato allarmante di ospedalizzazione in eccesso nel confronto col dato regionale e provinciale per tutti i tumori maligni!

Ma inspiegabilmente riporta che «dai risultati presentati […] il profilo di salute della popolazione residente nel Comune di Gioia del Colle (nel periodo esplorato) non sembra presentare particolari criticità»

È stata diffusa in questi giorni una «Relazione sullo stato di salute della popolazione di Gioia del Colle» prodotta dall’Agenzia regionale per la salute ed il sociale (Aress), richiesta dal Comune di Gioia del Colle per valutare le evidenze da me mostrate a dicembre del 2019 nel «Rapporto completo del primo studio epidemiologico sulla mortalità per tumori nel Comune di Gioia del Colle e sulle possibili cause ambientali». Come da buona prassi scientifica, la richiesta di un’analisi in grado di replicare e validare/confutare precedenti risultati non può che trovare il mio pieno favore. Dopo un’approfondita lettura della relazione, due aspetti principali risultano, però, sorprendenti.

1. Metodologia

Lo studio Aress di validazione del mio precedente rapporto utilizza l’approccio metodologico, alquanto discutibile a parere dello scrivente, di confronto tra i tassi di mortalità/ospedalizzazione/incidenza nel territorio di Gioia del Colle e quelli di una popolazione di riferimento ovvero, in questo caso, la popolazione della Regione Puglia e la Provincia di Bari, invece di effettuare un confronto con lo standard della popolazione nazionale da me utilizzato precedentemente. Purtroppo, a mio modesto parere (confermato però anche da colleghi esperti di analisi dei dati che ho avuto modo di consultare in questi giorni), questo raffronto con le popolazioni regionali e provinciali prese come standard rischia di invalidare l’intera analisi.

Infatti, sebbene sia necessario «utilizzare popolazioni di riferimento standard il più possibile simili alla popolazione in studio [per] minimizzare anche il ruolo di altri fattori che condizionano lo stato di salute (ad esempio alcune abitudini individuali, come ad esempio la dieta, e alcuni fattori di contesto, come ad esempio lo stato socioeconomico)», come scrivono gli autori del rapporto Aress, allo stesso tempo, prendendo come riferimento per la standardizzazione popolazioni potenzialmente influenzate dagli stessi fattori ambientali che sono oggetto di uno studio sulle patologie tumorali, si rischia di rendere irriconoscibili le evidenze di problematiche che riguardano un comune specifico che di quello stesso territorio provinciale o regionale fa parte.

Apparirà ovvio che (come già mostrato nel mio rapporto) la provincia di Bari ha tassi, per molte patologie tumorali, superiori a quelli nazionali (ad esempio per le neoplasie emolinfopoietiche, i tumori al fegato, alla vescica, etc.) e, quindi, è lapalissiano che confrontare i dati comunali con quelli di una provincia, con valori già piuttosto elevati rispetto alla nazione, renda gli eccessi a livello comunale meno evidenti. Tra l’altro, il raffronto con lo standard regionale (che include aree evidentemente martoriate dal punto di vista ambientale e dell’incidenza tumorale come le zone industriali di Taranto e di Brindisi, alcune aree del Salento e del Barese, etc.) crea una sottostima dei reali rischi per la salute a livello comunale.

I lettori converranno con me che è davvero poco consolatorio sapere che alcune patologie tumorali in eccesso che coinvolgono i cittadini gioiesi hanno, però, valori di poco inferiori di quelle dei cittadini che vivono nei dintorni delle aree industriali pesantemente inquinate della regione. Inoltre, prendendo come standard di riferimento la regione o la provincia e non la popolazione nazionale, si crea un errore statistico rilevante.

L’analisi dei dati prodotta da Arees sembra, infatti, non impiegare per il confronto dati non indipendenti. Confrontare i tassi di mortalità locale con quelli della provincia o regione di appartenenza, nelle quali è ricompresa l’area di studio, vuol dire che i dati sulla mortalità nel sito di studio sono stati confrontati anche con se stessi. Questo si traduce in un errore di Tipo II inaccettabilmente elevato (ovvero un falso negativo) per l’analisi.

L’indipendenza dei dati è un requisito fondamentale di inferenza statistica e le violazioni di questo requisito rappresentano un difetto assoluto nell’analisi. Per tale ragione si tenta di ridurre questo tipo di grossolano errore confrontando i valori locali a quelli nazionali (escludendo le aree oggetto di studio) che hanno caratteristiche di popolazione simili, ma sono indipendenti. Appare, inoltre, paradossale allo scrivente che per valutare la maggiore o minore mortalità/incidenza/ospedalizzazione a livello comunale non sia stato utilizzato dall’Aress il dato nazionale, ma per analizzare l’andamento nel tempo dello stato di salute dei gioiesi sia stata utilizzata per standardizzazione la popolazione europea 2013. Si è, ovvero, paragonata la variazione della salute di un gioiese a quella di un europeo medio che include un polacco, un ungherese, un finlandese, un rumeno, etc. Tale ulteriore discutibile scelta rende davvero difficile valutare l’affidabilità dei risultati prodotti.

Infine, da un punto di vista ancor più tecnico, non c’è nel rapporto Aress alcuna specifica sul modello statistico utilizzato per il calcolo degli intervalli di confidenza (ovvero quei valori che hanno permesso all’Agenzia regionale di stabilire se un tasso è o meno significativo, ovvero se il suo limite inferiore dell’I.C.90% fosse >1).

2. Risultati, discussioni e conclusioni

Al di là delle sopra evidenziate consistenti problematiche metodologiche, l’aspetto ancor più sorprendente è come l’Agenzia regionale (aggiungendo ulteriori anni e dati di incidenza e ospedalizzazione, oltre a quelli di mortalità da me impiegati nel rapporto presentato a fine 2019) ottenga risultati in buona parte simili e, addirittura più allarmanti, ma nel discuterli e nel riassumerli nelle conclusioni li definisca poco preoccupanti e in contrasto con lo studio da me condotto. Riporto qui (testualmente) i risultati degli eccessi significativi evidenziati dallo studio dell’Aress:

  • mortalità: Gli eccessi di rischio significativi, nel confronto col dato regionale, riguardano, nel sesso maschile, il tumore della prostata e i linfomi; le malattie neurologiche nelle donne e l’insufficienza renale, in entrambi i sessi. Per il sesso femminile si registrano eccessi di rischio nell’ultimo quinquennio per tumore del colon-retto e tumore del rene. […] Considerando solo l’ultimo quinquennio (2012-2016) […] si confermano in eccesso il tumore della prostata e i linfomi nel sesso maschile, e le malattie respiratorie croniche, nelle donne (rispetto al confronto provinciale);
  • ospedalizzazione: I dati di ospedalizzazione mostrano eccessi, nel confronto col dato regionale e provinciale, per tutti i tumori maligni, tumori delle ossa, del rene, dell’utero ed emolinfopoietici nelle donne e il tumore della prostata per il sesso maschile […]. Nell’ultimo periodo di osservazione (2015-2018), in entrambi i confronti territoriali, si trovano eccessi per tumore della prostata negli uomini, tumore dell’utero, tumori emolinfopoietici e tumore del rene nelle donne. […] [l’ospedalizzazione per] il tumore della vescica nel sesso maschile e il tumore del rene e dei tumori emolinfopoietici, nel sesso femminile, evidenziano un aumento nell’ultimo periodo. […] [si riscontrano] eccessi di rischio di ricovero per patologie tumorali in particolare a carico del sesso femminile (tumore del colon, tumori del sistema nervoso centrale, tumori cutanei, tumori del rene). Nell’ultimo quinquennio si conferma l’eccesso di rischio di ospedalizzazione relativo al tumore della prostata e, nel sesso femminile, si registrano anche un eccesso per tumore dell’utero e per linfomi non Hodgkin. […] Nel sesso femminile risultano in incremento i tassi di ospedalizzazione per tumore del rene;
  • incidenza: […] gli eccessi statisticamente significativi riguardano il tumore dell’utero (in particolare del corpo) e il tumore del rene e delle vie urinarie nel sesso femminile, nel quale anche il tumore del colon retto appare in eccesso ai limiti della significatività statistica;
  • tumori emolinfopoietici: È stato inoltre condotto un approfondimento sull’incidenza dei tumori emolinfopoietici, per valutare il trend temporale dei tassi viene riportato nell’allegato il grafico dell’andamento dei tassi nel periodo 2006-2016, considerando i due sessi assieme, che mostra un trend in incremento nel periodo. […] per il linfoma non Hodgkin si rileva un lieve incremento rispetto all’atteso (21 casi osservati vs. 18 attesi, nei tre anni di osservazioni.

L’Agenzia regionale conferma, dunque, chiaramente le evidenze sugli eccessi di mortalità per molte tipologie di tumore rilevate nel mio precedente rapporto e, in più, rileva il dato allarmante di ospedalizzazione in eccesso nel confronto col dato regionale e provinciale per tutti i tumori maligni! Aggiunge, come evidenziato dal sottoscritto nel precedente rapporto, che il trend temporale dei tassi d’incidenza dei tumori emolinfopoietici nel periodo 2006-2016, mostra un trend in incremento nel periodo!

Eppure, del tutto inspiegabilmente, l’Agenzia regionale riporta che «dai risultati presentati […] il profilo di salute della popolazione residente nel Comune di Gioia del Colle (nel periodo esplorato) non sembra presentare particolari criticità» e che «in conclusione, si può affermare che le criticità epidemiologiche evidenziate nel [mio precedente] Rapporto non appaiono confermate dalla presente analisi».

Esterrefatto da una tale discordanza tra risultati e conclusioni, dopo numerose riletture del rapporto dell’Agenzia regionale, pareri chiesti a colleghi esperti di epidemiologia e statistica, e revisione dei dati da me pubblicati, lo scrivente non vede nessuna ragione che giustifichi tali rassicurazioni prodotte dall’Aress alla luce dei dati riportati dalla stessa Agenzia regionale.

L’analisi di verifica sembra non rilevare solamente gli eccessi di mortalità per tumori al fegato o alla vescica da me riscontrati per la semplice (e molto plausibile) ragione della scelta metodologica, a parere dello scrivente piuttosto immotivata (discussa al punto 1), che vede il raffronto tra Gioia e la Provincia di Bari e la Regione Puglia. Dai dati da me presentati in precedenza, è evidente come sia la Provincia di Bari sia quella di Taranto mostrino tassi di mortalità significativamente più alti di quelli nazionali per i tumori al fegato e alla vescica e questo rende inappropriato considerare come standard una provincia o una regione con tassi di mortalità già superiori a quelli nazionali per queste specifiche tipologie di tumore.

D’altronde, il dato aggiuntivo di un significativamente elevato tasso di ospedalizzazione per tumori al fegato (maschi) e a rene e altri organi urinari (femmine) tra i cittadini gioiesi per tutto il periodo 2001-2018, rispetto al territorio regionale lascia ipotizzare che effettivamente fegato e organi urinari siano bersaglio di tumori frequenti (mortali o meno) tra i cittadini di Gioia del Colle. Tra l’altro, la stessa Agenzia regionale riporta che «il tumore del fegato presenta circa 6 casi in eccesso rispetto all’atteso, concentrati nel sesso maschile» e, tra il 2001 e il 2018, i tassi di ospedalizzazione osservati per tumori al fegato nei maschi sono 86 rispetto ai 69,2 attesi a livello regionale e i 72 attesi a livello provinciale. Il tasso osservato di ospedalizzazione a livello provinciale nello stesso periodo per i tumori della vescica nei maschi è di 214 contro i 208,2 attesi e, per le femmine, di 44 contro i 40,34 attesi (sebbene, con un SMR IC90% inferiore di poco al di sotto di 1).

Per ultimo, nonostante l’Agenzia Regionale si affretti a concludere che «non sono confermati gli eccessi significativi a carico del sistema nervoso centrale, né quelli a carico della cute», i suoi stessi dati di ospedalizzazione mostrano significativi eccessi sia per «altri tumori maligni della cute» (per maschi e femmine) sia per «i tumori maligni dell’encefalo e di altre parti non specificate del Sistema Nervoso» (per le femmine).

Ritengo, dunque, necessario ribadire che le conclusioni «rasserenanti» a cui giunge l’Aress non corrispondono assolutamente ai risultati riscontrati dall’Agenzia regionale stessa per molte delle stesse neoplasie rilevate dal mio precedenze studio e sono, per molti aspetti, persino ben più preoccupanti in termini di ospedalizzazione e incidenza. Il discutibile approccio metodologico e la procedura che in inglese viene definita di «cherry-picking» dei risultati (ovvero «una procedura che indica una fallacia logica scaturita dal selezionare le sole prove a sostegno della propria tesi, ignorando al contempo tutte le altre che la potrebbero confutare») potrebbero aver contribuito a questa erronea valutazione dei risultati.

A chiarimento delle critiche mosse al mio precedente studio, va, inoltre, precisato che l’analisi da me condotta ha utilizzato il calcolo di rapporti standardizzati di mortalità, usando come riferimento la popolazione italiana per ridurre gli errori metodologici discussi al punto 1 (per ogni anno di confronto, così da ridurre al minimo anche gli errori dovuti al fatto che, come suggerito dall’Agenzia regionale, «la stima non risente solo del numero di eventi nella popolazione di interesse ma anche di quella nella popolazione di confronto»). Questo problema è, invece, molto probabilmente presente nei risultati dell’Agenzia regionale a causa dell’improprio raffronto tra un comune e lo standard di una provincia e di una regione, di cui la stessa realtà comunale fa parte, le quali potrebbero essere influenzate dalla non indipendenza del dato e da problematiche ambientali che potrebbero coinvolgere territori tra loro vicini.

Proprio perché la standardizzazione da me effettuata era nei confronti della popolazione nazionale (un universo campionario molto meno influenzato dalle problematiche ambientali locali e dalla dipendenza dal dato comunale) è stato possibile confrontare con buona affidabilità i tassi di mortalità ottenuti con gli analoghi dati delle due Province di Bari e Taranto e di tre comuni della provincia di Bari (Gioia del Colle, Putignano, Santeramo e Acquaviva delle Fonti) e tre della provincia di Taranto (Taranto, Massafra, Castellaneta) e l’andamento nel tempo delle neoplasie linfatiche.

Questo approccio, appare allo scrivente nonostante le critiche mosse dall’Aress, molto più «congruo» e meno affetto dagli errori metodologici (evidenziati al punto 1 precedente) che hanno molto probabilmente influenzato i risultati, invece, ottenuti dall’Agenzia regionale. Con la metodologia da me impiegata si è potuto rilevare che, per molte delle patologie tumorali significativamente in eccesso tra i cittadini gioiesi, i tassi non sono altrettanto elevati nella maggior parte dei comuni limitrofi ad esclusione di quelli, notoriamente affetti da gravi problematiche ambientali, come Massafra e Taranto. Il mio studio ha anche evidenziato eccessi per molte patologie per entrambe le provincie di Bari e Taranto che, già a priori, avrebbero dovuto significare all’Agenzia regionale l’inappropriatezza di un confronto tra i tassi comunali e gli standard della stessa provincia e regione di appartenenza.

Appare, inoltre, discutibile anche il punto sottolineato dall’Agenzia Regionale riguardo il tasso di mortalità che «non rappresenta un indicatore sensibile per lo studio delle patologie emolinfopoietiche, su cui è concentrata la gran parte della discussione, in quanto grazie ai progressi nelle cure, la maggior parte di queste malattie risulta trattata con successo». Se è vero che il dato di incidenza e/o ospedalizzazione rappresenta tutti o quasi i cittadini colpiti da malattie emolinfopoietiche che possono essere guariti o ancora in cura nel periodo di studio, un eccesso di mortalità rilevato proprio per queste patologie «trattate con successo» può essere un indicatore ancor più allarmante di una seria problematica nel territorio di studio.

Infatti, la mortalità per linfomi tra il 2001 e il 2016 tra i cittadini gioiesi rispetto allo standard (ripeto, molto discutibile) regionale è, comunque di molto in eccesso: 27 casi osservati tra gli uomini contro i 18,27 attesi. Addirittura, nel periodo 2012-2016 (finestra temporale del mio stesso studio sui tassi di mortalità), l’Aress rileva che tra gli uomini si osservano 13 decessi per linfomi contro i 5,96 attesi a livello regionale e i 6,25 a livello provinciale (oltre il doppio in entrambi i casi). Inoltre, tra il 2001 e il 2018, l’Agenzia regionale riporta che il tasso di ospedalizzazione per i linfomi non-Hodgkin nelle donne è stato di 59 casi osservati contro i 46,96 attesi a livello regionale e 48,73 a livello provinciale, mentre il tasso di ospedalizzazione per leucemie nelle donne è stato di 47 casi osservati contro i 38,52 attesi a livello regionale e i 35,94 attesi a livello provinciale. Non stiamo parlando, dunque, di «un lieve incremento rispetto all’atteso», come riportato, o di un’assenza di «particolari criticità». Altroché: gli incrementi rispetto agli attesi sono significativi e frequenti e le criticità sono a dir poco «particolari»!

Ecco, quindi, che da una più attenta analisi dei risultati, la prospettiva sembra completamente ribaltata. Immagino che, a questo punto, a molti cittadini attenti e con spirito critico venga da chiedersi: «Ma allora perché le conclusioni del rapporto sono rasserenanti e alcuni cittadini gioiesi definiti o autodefinitisi esperti hanno esultato, tranquillizzati da questa relazione, senza aver realmente compreso quanto deficitario sembra essere l’approccio dell’analisi e, nonostante questo, allarmanti siano molti dei risultati presentati?».

A questa domanda non so proprio cosa rispondere. Potrebbe trattarsi solo di involontaria distrazione? Difficile stabilirlo. È, però, certo che sia quantomai necessario fornire ai cittadini informazioni chiare e corrispondenti ai dati di fatto. Un approccio molto più intelligente, più congruo a quel principio di precauzione troppo spesso ignorato in passato che ha portato ai disastri attuali, sarebbe quello di provare a tirar fuori evidenze dai dubbi piuttosto che insinuare dubbi a partire dalle evidenze.

Personalmente, credo di aver fornito, con l’aiuto di mia moglie anch’essa biologa pro bono per la causa, un contributo volontario, gratuito e dispendioso (in termini di energie e tempo dedicato) per aprire un dibattito e far luce sulle problematiche che affliggono i miei cari ex-concittadini e un territorio che, nonostante il mio sentirmi cittadino del mondo, sento come vera e meravigliosa casa. Non ho voluto lanciare allarmi ingiustificati ed, anzi, l’obiettivo chiaro sin dall’inizio era quello di offrire a questo territorio, bellissimo e ricco di potenzialità, una base di riflessione per migliorare il suo futuro e quello delle persone che lo vivono.

Alcuni hanno inteso questo tentativo di far luce sulle problematiche locali come un attacco mirato alla reputazione del paese. Comprendo che sia più semplice illudersi che nel proprio «orticello» tutto sia buono e sano che, provare a capire, se e quali problemi ci siano e cosa si possa fare per risolverli. Trovo, però, l’atteggiamento ingiustificatamente tranquillizzante di chi preferisce nascondere la polvere (sottile) sotto il tappeto dell’apparenza e illudersi e illudere gli altri di vivere nel Paese dei Balocchi dove tutto è uranio quel che luccica, davvero irrispettoso (direi al limite del criminale) nei confronti di tutti i cittadini gioiesi che ci hanno lasciato prematuramente (anche in giovane età; tra tutti mi preme sempre ricordare i miei due compagni di gioventù, entrambi deceduti a causa di tumori emolinfatici) perché strappati alla vita da una malattia, il cancro, che raramente nasce dal niente e per tutti coloro che, giorno dopo giorno, combattono contro questo male del secolo senza sapere perché sia toccato proprio a loro.

Le fredde, spesso malinterpretate o malcondotte analisi statistiche, non dovrebbero mai dimenticare che dietro i numeri ci sono persone, animali, piante, esseri viventi insomma, che hanno diritto a vivere in un ambiente sano e di non ammalarsi per colpa di chi antepone gli interessi economici a quelli della salute e della Natura.

Spero che i cittadini onesti, soprattutto i più giovani a cui certamente la verità interessa e influenza ancor più le loro vite presenti e future, colgano il senso di tutto questo e provino a cambiare le cose, perché non tutti i pareri degli «esperti» sono mossi dallo stesso senso di trasparenza, disinteresse e ricerca della verità. Sta al senso critico di ognuno di noi provare a comprendere, unirsi e riflettere per non esser vittima di sistemi più grandi di noi che ci illudiamo siano solo «incubi in attesa di finire».

Personalmente, stanco di lottare da anni contro piccoli e grandi mulini a vento che sorgono su quello che dovrebbe essere la gioia di un colle, ma girano sempre in senso contrario al buon senso, oberato da altre necessità lavorative e personali, lascio a chi vorrà prendere in considerazione le mie riflessioni per, appunto, «provare a tirar fuori evidenze dai dubbi piuttosto che insinuare dubbi a partire dalle evidenze» e fare qualcosa perché davvero cambino le cose. A tutti gli altri, benpensanti, «esperti», critici e miscredenti auguro solo di non trovarsi un giorno, com’è tipico della natura umana, a rimpiangere di non aver creduto a chi diceva «c’è qualche problema, ma c’è ancora tempo per fare qualcosa», quando quel tempo ormai non c’è più.

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato presso la Tomsk State University, Russia; Research Fellow presso il Konrad Lorenz Institute for Evolution and Cognition Research, Austria

 

P.S. Vale la pena menzionare, solo per i più interessati ai dettagli tecnici e, in questo particolare caso, insignificanti, ma probabilmente presentati per montare ulteriormente un discredito delle competenze altrui, come l’Agenzia regionale metta in dubbio persino una possibile associazione tra inquinamento e tumori al fegato scrivendo: «deve essere evidenziato come appaia sorprendente l’associazione proposta dall’Autore tra PM2,5 e tumore del fegato […] Lo studio citato dall’autore a supporto della sua affermazione “tra le cause ambientali accertate d’insorgenza dei tumori al fegato e ai dotti biliari… risultano esserci l’inquinamento da polveri sottili…” (Particulate matter air pollution and liver cancer survival, Deng et al, 2017) intende indagare il ruolo del PM2,5 sulla mortalità nei pazienti con tumore del fegato e non certo l’associazione tra il particolato e il tumore epatico». In realtà, come riportato dagli autori di questo stesso studio e da molti altri da essi menzionati (cito letteralmente traducendo dall’inglese): «L’esposizione all’inquinamento atmosferico da particolato (PM) è stata associata all’incidenza e alla mortalità per tumore, in particolare al carcinoma polmonare. Il fegato è un altro organo probabilmente affetto da PM a causa del suo ruolo disintossicante dagli xenobiotici assorbito dal PM. Vari studi hanno studiato i percorsi meccanicistici tra inquinanti per inalazione e danni al fegato, incidenza del cancro e progressione del tumore. Tuttavia, si sa poco sugli effetti del PM sulla sopravvivenza del cancro al fegato». Gli stessi autori dello studio scientifico da me citato a supporto dell’affermazione sul legame tra polveri sottili (PM) e tumore al fegato aggiungono: «L’inquinamento atmosferico è classificato come cancerogeno dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc). Mentre le associazioni tra particolato ambientale con diametro <2,5 μm (PM2,5) e il cancro ai polmoni sono state ben documentate, le associazioni con i tumori in altri siti hanno ricevuto meno attenzione. Il fegato può essere un bersaglio poiché il PM2,5 può indurre stress ossidativo, infiammazione, genotossicità e accelerare l’infiammazione e la steatosi epatica, inducendo lo sviluppo e la progressione del cancro al fegato».

Ancora una volta, perché l’Aress abbia evidenziato come «appaia sorprendente l’associazione proposta dall’Autore tra PM2,5 e tumore del fegato» sottolineando che lo studio da me citato non ne parla, quando non è evidentemente così, non mi risulta semplice comprenderlo. Tra l’altro, la menzione all’inquinamento da polveri sottili, estrapolata dal contesto, era, in realtà, solo una delle cause oggetto di studi scientifici riguardanti il tumore al fegato da me menzionate nel rapporto ed era riportata, a titolo di esempio, tra le possibili associazioni tra inquinamento ambientale e salute umana. Voglio pensare che si tratti di un’incomprensione linguistica verso una pubblicazione in inglese che non di un tentativo di «buttar tutto in caciara», come direbbero i miei amici romani. Mi si perdoni la nota di colore finale…