Siamo appena usciti dalle emergenze della stagione estiva degli incendi boschivi e della siccità e ci troviamo già immersi con i piedi nel fango
È appena iniziato l’autunno e il nostro Paese è già ad affrontare le nuove emergenze geo-idrologiche con infrastrutture viarie distrutte, aree urbane invase e, quando va bene, case e negozi invase da acqua e fango. Siamo appena usciti dalle emergenze della stagione estiva degli incendi boschivi e della siccità e ci troviamo già immersi con i piedi nel fango.
Saremo costretti ad aggiornare il Rapporto periodico sul Rischio posto alla Popolazione italiana da frane e inondazioni (Anno 2019) pubblicato a gennaio 2020 dal Cnr. In questo rapporto le statistiche degli eventi di frana e d’inondazione con vittime nel periodo 1969-2018 che hanno interessato 3.629 località in 2.068 Comuni italiani sono severe:
- morti: per frana 1.132 e per inondazione 581, per un totale di 1.713
- dispersi: per frana 10 e per inondazione 50, per un totale di 60
- feriti: per frana 1.457 e per inondazione 454, per un totale di 1.911
- evacuati e senza tetto: per frane 148.353 e per inondazione 171.764 per un totale di 320.117 italiani.
Una fragilità strutturata
Già, saremo costretti ad aggiornare queste drammatiche statistiche, ma nello stesso tempo dovremmo sforzarci di associare a ogni numero un volto, una vita spezzata, una famiglia «mutilata», dei rapporti sociali interrotti, un investimento dello Stato che non andrà a buon fine.
Perché ci riduciamo di volta in volta ad affrontare l’emergenza e non agiamo in prevenzione? Quando il nostro Paese agirà per fronteggiare una «fragilità ormai strutturata»?
L’ultimo rapporto Ispra «Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici» descrive uno scenario poco rassicurante, tra il 2018 e 2019 si sono consumati 57 km2 di territorio nazionale al ritmo di 2 m2 al secondo. L’aumento del consumo di suolo non va di pari passo con la crescita demografica e in Italia cresce più il cemento che la popolazione: nel 2019 nascono 420mila bambini e il suolo ormai sigillato è di 57 milioni di metri quadrati. È come se ogni culla di un nuovo nato in Italia fosse per il solo primo anno di vita al centro di un piazzale asfaltato di 12 metri di lato.
Per darvi un’altra idea delle dimensioni consumate pensate che i 785 ettari consumati nel Veneto corrispondono a 1.100 campi da calcio, mentre i 625 ettari in Puglia corrispondono a 23.700 campi da tennis.
Secondo le Nazioni Unite ci dovrebbe essere l’allineamento del consumo alla crescita demografica reale entro il 2030, ma questo è un obiettivo, come il contenimento dell’aumento della temperatura del Pianeta, che è difficile da raggiungere.
Quanto è lontana la commissione De Marchi!
La preoccupazione maggiore si materializza quando le forze politiche iniziano a sostenere con convinzione che il dissesto geo-idrologico si può contrastare con interventi strutturali, magari utilizzando una parte del recovery fund. Con questa logica rivolta prevalentemente alla capacità di spesa dei fondi comunitari si stanno saltando tutte le azioni più incisive per contenere e mitigare il dissesto geo-idrologico quali la pianificazione, il monitoraggio, la manutenzione, il ripopolamento delle aree interne e una diffusione della cultura di auto protezione nei confronti dei pericoli naturali e la tutela dall’ambiente.
Sono trascorsi 50 anni dai lavori della «Commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo», nota come De Marchi, e nominata dopo l’alluvione di Firenze del 1966. Questa Commissione aveva il compito di «esaminare i problemi tecnici, economici, legislativi, e amministrativi al fine di proseguire e intensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e di difesa del suolo sulla base di una completa programmazione».
Dopo 50 anni ci possiamo permettere che eventi con un decorso naturale, accentuati dalla crisi climatica (che non deve essere un alibi) e da un uso improprio del territorio, possano creare vittime e danni alle infrastrutture e alle aree produttive?
Il Paese è stanco
Il Paese è stanco di applicare il solito schema post evento calamitoso e limitato solo a un breve periodo del post evento: si contano le vittime, si stimano i danni, si crea la solidarietà nazionale con raccolta fondi e fiaccolate di solidarietà, si cerca di capire le cause, si approccia con cautela a comprendere le responsabilità tecniche e politiche, si stanziano i fondi per ricostruire. Magari la ricostruzione sarà nello stesso luogo, dove la natura ha tentato di riprendersi i suoi spazi. Lo schema ormai collaudato è pronto per essere applicato per altro evento calamitoso, in altra stagione e in altra regione.
Se chiedessi dell’art. 41 del legislativo 30 aprile 1992 n. 285 o dell’art.177 dello stesso decreto cosa sapreste dire?
Se non siete un vigile urbano o un accanito pirata della strada non sapreste di cosa stiamo parlano. Tuttavia il rispetto di questi articoli di legge lo facciamo quotidianamente in automatico, è radicato nella nostra quotidianità. Ci fermiamo sempre quando il semaforo è rosso e lasciamo libero il passaggio quando sentiamo il sopraggiungere di una sirena.
Vorremmo che un giorno questo modo di agire, spontaneo e automatico nella nostra quotidianità, diventasse una consapevolezza di tutti per tutelare l’ambiente e per l’auto proteggersi dai pericoli naturali.
Questo passo avanti può essere compiuto solo sulla strada del sapere e della cultura, coinvolgendo ovviamente, nel loro interesse immediato, i più piccoli.
Antonello Fiore