Il lavoro di Richard Proenneke, in cui racconta la sua esperienza di vivere da solo per quasi trent’anni in una baita costruita da lui stesso al confine di una foresta in Alaska a centinaia di chilometri dalla lampadina più vicina. Il libro, edito da Piano B, è un inno alla natura
«Di cosa ero capace che ancora non sapessi? E che dire dei miei limiti? Sarei riuscito a non stufarmi della mia stessa compagnia per un anno intero? Sarei riuscito a sopportare tutto ciò che questa terra selvaggia mi avrebbe scagliato contro? Ne avevo già saggiato il temperamento nella tarda primavera, d’estate e nel primo autunno, ma d’inverno? Avrei amato l’isolamento anche allora, con il freddo che penetra le ossa, il minaccioso silenzio spettrale, la segregazione forzata? All’età di cinquantuno anni, avevo intenzione di scoprirlo. La mia mente si affollava dei come e dei quando di mille progetti. Sarei davvero stato in grado di costruire la baita secondo gli standard che mi ero prefissato, con solo uso di attrezzi a mano? Mobili, porte, finestre: quale il modo migliore per fabbricare le tavole necessarie? Il camino era un progetto troppo ambizioso? C’erano priorità da definire e scadenze da rispettare. La parte più entusiasmante di tutta l’avventura era testare la capacità di contare solo su stessi».
«Da solo nelle terre selvagge» edito da Piano B, è il libro di Richard Proenneke, un uomo che nei primi anni Sessanta si ritagliò su misura un incredibile stile di vita nella natura selvaggia dell’Alaska, a centinaia di chilometri dalla lampadina più vicina. E la sua esperienza vissuta è quanto di speciale è riportato all’interno del testo che mostra la sua grande autenticità di contenuti sia scritti, con pagine di diario dove vengono elencate con minuzia accademica le svariate attività quotidiane, sia visivi, con filmati eccezionali su pellicola da 8 mm.
Richard Proenneke ha trascorso quasi trent’anni della sua vita da solo, in una baita di legno costruita con le proprie mani sul limitare di una foresta lungo la riva dei Twin Lakes, in Alaska, in totale auto-isolamento da ogni comodità moderna come l’elettricità o il telefono.
Dopo aver prestato servizio come carpentiere durante la Seconda guerra mondiale lavorò per un po’ come meccanico e poi come pescatore di salmoni, ma una volta compiuti cinquant’anni decise di ritirarsi e tornare alla natura. Era spinto dall’impulso di costruire qualcosa da zero.
Ha cacciato, ha pescato, ha coltivato il suo orto e si è procurato la legna per scaldarsi nei gelidi inverni. Ogni giorno ha raccontato la sua esperienza nei suoi diari, e le innumerevoli fotografie e video che ha raccolto negli anni sono serviti da base per questo libro, vincitore del National outdoor book award (Noba), e per il documentario Alone in the Wilderness (12 milioni di visualizzazioni su Youtube).
Una sfida estrema letta in un’epoca, la nostra, in cui sono poche le persone che da un tronco di legno riescono a cavarne oggetti necessari per il sostentamento, che riescono a produrre da sé nutrimento e ogni genere di «comodità» per vivere una vita «confortevole». Un oggi in cui è ancora più complesso trovare soggetti che riescono a farsi compagnia con se stessi e con le proprie ambizioni di ogni giorno.
«I soldi non sono molto d’aiuto quassù, non potrebbero comprare la sensazione di forza che mi ha attraversato braccia e spalle. Non potrebbero comprare il senso di realizzazione. Sono stato la guida di me stesso, e la mia forza mi è servita da motore. Questa terra immensa è il mio giardino, e posso permettermi il prezzo che chiede in cambio».
Quello che si legge nel libro è la sintonia di un uomo con l’ambiente circostante, lo stupirsi per un tramonto, per la crescita di un germoglio, per l’alternarsi continuo delle stagioni e con esse il cambiamento della flora e fauna intorno a sé.
«Avete mai raccolto dei mirtilli gonfi dopo un temporale estivo? Passeggiato in un boschetto di pioppi, luminoso come un giardino, e intravisto il cielo azzurro oltre lo scintillio delle foglie dorate? Infilato ai piedi calze asciutte di lana dopo esservi tolte quelle fradice? Tremato al calore di un fuoco di legna al rientro da una terra gelata? Il mondo è pieno di queste cose».
Elsa Sciancalepore