Clima e Covid-19, perché l’Italia soffre di più

2010
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Entrambe mettono a nudo la fragilità dei nostri sistemi: tanto il Covid-19 ha mostrato i limiti delle politiche di smantellamento della sanità pubblica, quanto i mutamenti del clima hanno effetti più virulenti là dove i territori più aggrediti da noi esseri umani sono diventati più vulnerabili, meno preparati ad affrontare shock

Siamo vittime dell’emergenza pandemica ma anche di quella climatica: occorre promuovere una presa di coscienza collettiva per stimolare un dibattito costruttivo su una questione che non può più essere rimandata. Le due crisi sono simili e strettamente correlate tra loro. Entrambe hanno carattere globale, perché minacciano il genere umano nella sua interezza. Entrambe mettono a nudo la fragilità dei nostri sistemi: tanto il Covid-19 ha mostrato i limiti delle politiche di smantellamento della sanità pubblica, quanto i mutamenti del clima hanno effetti più virulenti là dove i territori più aggrediti da noi esseri umani sono diventati più vulnerabili, meno preparati ad affrontare shock.
Così come il virus ha colpito in modo particolarmente tragico il nostro Paese, lo stesso rischia di avvenire con la crisi climatica. Perché l’Italia è un hotspot.
Per le caratteristiche morfologiche del nostro territorio e per la sua particolare posizione geografica, siamo più esposti dei nostri vicini europei agli effetti del riscaldamento globale.
Dai ghiacciai alpini che si stanno ritirando alle coste erose dall’innalzamento del livello marino, da Venezia funestata dalle acque alte alla Sicilia in via di desertificazione, la crisi sta colpendo duramente i nostri territori, con impatti socio-economici che crescono in modo sproporzionato e catastrofico una volta che alcune soglie vengono oltrepassate. E questo da Nord a Sud.
Va trovata, pertanto, una via per aprirsi e accettare la sfida della transizione ecologica anche come transizione economica, puntando sulla difesa della biodiversità. La qualità dell’ambiente porta anche nuovi posti di lavoro.
Penso che sia importante in questo momento avere in Parlamento un punto di vista ecologista per incalzare il governo sui temi della transizione ecologica. Occorre, ad esempio, scrivere un Pnrr in linea con gli obiettivi dell’Ue: penso al fronte della lotta al mutamento climatico, o del green new deal. Quindi il Parlamento diventa il luogo in cui esercitare dovere di critica e di sollecitazione al governo affinché questa azione sia davvero coerente.
In Italia in questo momento occorrono generosità e coraggio per mettersi in rete e provare ad ottenere un processo di riconoscimento e di superamento delle esperienze storiche e anche di quel frazionamento fatto di mille associazioni o mille soggetti.
Occorre avere la capacità di portare in politica un punto di vista nuovo che parte sì da un’esperienza storica, ma che ha bisogno adesso di tanto altro. Ad esempio di dialogare, in maniera serrata, sia con il mondo della green economy e con quelle numerose imprese che investono in qualità ambientale, ma anche con l’associazionismo cattolico che sul fronte della lotta al mutamento climatico si sta impegnando non poco. Per cui, personalmente, penso ai giovani dei Fridays for future e agli altri movimenti di giovani attivisti, che sono riusciti dove gli ambientalisti storici non sono riusciti: riempire le piazze in difesa del clima.
Penso che una proposta ecologista debba poter contemperare, in primis, la difesa della salute dei cittadini. Il fatto che esista a Taranto il fenomeno del wind day, ovvero giornate caratterizzate da venti intensi e assenza di precipitazioni che determinano un impatto negativo sulla qualità dell’aria nel quartiere Tamburi, rendendo impossibile agli studenti andare a scuola, sia un segnale di mancanza di diritti che l’Italia non dovrebbe più permettere.
Certe immagini scuotono la coscienza di tutti e abbiamo quindi il dovere di diffonderle perché attraverso la conoscenza Taranto diventerà una città normale.
Taranto è la città dei delfini e dei cavallucci marini. A Taranto si muore non per l’acciaio, ma per il metodo produttivo. Occorre spingere per la decarbonizzazione spinta, non perché sia un mantra ripreso anche da papa Francesco, ma perché anche il governo nella nuova strategia energetica nazionale lo impone entro il 2025. Non capiamo perché questo non possa valere per Taranto.
Taranto può, anzi deve diventare una delle città più vivibili del Paese, disponendo di un patrimonio artistico, storico e culturale quasi unico al mondo.
Essen, la città tedesca che ospita un altro centro siderurgico e uno dei più grandi poli industriali europei, è capitale verde d’Europa nel 2017. Occorre dimostrare che la natura vince sempre anche sulle brutture più gravi.

Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia