Tra Otranto e Leuca un’ostrica crea biocostruzioni

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Tra i 50 ed i 70 metri di profondità, si trovano le formazioni costruite dal mollusco Neopycnodonte cochlear, una piccola ostrica che svolge lo stesso ruolo dei coralli di Monopoli. Ulteriori indizi suggeriscono che formazioni «non coralligene» siano presenti lungo tutta la costa pugliese, dal Gargano fino allo Jonio creando, stavolta sì, una vera e propria barriera tra i 40 ed i 70 metri di profondità, caratterizzata a volte da scleractinie (coralli), a volte da molluschi e su cui si ritrovano specie di elevato valore commerciale

Due anni fa circa i mass media anche esteri riportarono con giusto clamore la notizia che nel tratto di mare antistante Monopoli fosse presente una biocostruzione del tutto peculiare nel Mediterraneo. Notizia accolta non senza polemiche da parte della comunità scientifica italiana.

Ma sempre due anni fa emergevano già i primi indizi che, a quelle profondità e con quella luce, ci potesse essere un sistema di biocostruzioni caratterizzate tutte da una componente animale dominante e da un ruolo ridotto se non assente delle alghe. La conferma arriva da recentissimi studi pubblicati dal gruppo di ricerca del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari, guidato dal prof. Giuseppe Corriero.

Si apprende così che ad Otranto ed a Santa Maria di Leuca, tra i 50 ed i 70 metri di profondità, si trovano altre formazioni costruite questa volta dal mollusco Neopycnodonte cochlear, una piccola ostrica che svolge lo stesso ruolo dei coralli di Monopoli. Anche in questo caso le alghe sono accessorie. Ulteriori indizi suggeriscono che formazioni «non coralligene» siano presenti lungo tutta la costa pugliese, dal Gargano fino allo Jonio creando, stavolta sì, una vera e propria barriera tra i 40 ed i 70 metri di profondità, caratterizzata a volte da scleractinie (coralli), a volte da molluschi e su cui si ritrovano specie di elevato valore commerciale come il corallo rosso.

Nella barriera corallina di Monopoli (più coretto definirla scogliera), tra i 40 e i 50 metri di profondità, vi è una struttura tridimensionale dovuta alla sovrapposizione degli scheletri carbonatici degli invertebrati che nel tempo si sono succeduti, accrescendone lo spessore fino a 2 metri. Lì le alghe, contrariamente alle barriere coralligene, non hanno praticamente alcun ruolo se non quello di specie accessorie ma certamente non strutturanti.

La scoperta di due anni fa fu particolarmente interessante di per sé perché metteva in discussione il ruolo della luce nella realizzazione delle biocostruzioni vicine alla costa, aprendo la porta a scenari in cui prevalgono organismi che si nutrono di sostanze organiche già elaborate da altri organismi.

La scogliera mesofotica (o twilight zone come direbbero gli inglesi) rappresenta un unicuum ecologico e biologico per il Mediterraneo. Con l’aumentare della profondità e come conseguenza della attenuazione della luce, gli invertebrati sostituiscono progressivamente le concrezioni di alghe, diventando i più importanti costruttori di habitat.

Le recenti ricerche del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari rivelano che un contributo importante a queste strutture carbonatiche sembra essere fornito dall’ostrica Neopycnodonte cochlear che forma aggregati sul fondo del mare su substrati sia molli che duri, favorendo lo sviluppo di una ricca fauna dei fondali marini. Le informazioni sulle biocostruzioni dei molluschi bivalvi sui fondali tra i 40 ed i 150 metri e tra i 200 ed i 2.000 metri sono limitate perché i dati della letteratura sulle biocostruzioni marine in Mediterraneo si sono concentrati principalmente sulle acque poco profonde.

Le ricerche del gruppo guidato dal prof. Corriero hanno messo in evidenza anche come la biocostruzione realizzata dall’ostrica Neopycnodonte cochlear è molto complessa e diversificata e le specie associate esclusivamente al sito di Santa Maria di Leuca sono più numerose di quelle legate al sito di Otranto. I ricercatori sostengono anche che queste formazioni a predominanza animale hanno estensioni maggiori in Adriatico meridionale e che altre, più ampie ed oggetto di ulteriore ricerca attualmente in corso da parte dello stesso Dipartimento, sono presenti anche in Adriatico centrale.

 

Fabio Modesti