Il Consiglio di Stato dà ragione alla Regione su un caso di Otranto
Il Consiglio di Stato ha stabilito che pur se la variante era anche planovolumetrica, doveva rispettare le sopravvenute norme paesaggistiche. E se il Pptr prevede pure la possibilità di edificazione «relativa» nelle aree costiere, vieta il tipo di edificazione proposta. Nella sentenza, poi, viene riportata la statuizione della Corte costituzionale per cui vi è un principio di prevalenza della disciplina paesaggistica su quella urbanistica
Il Consiglio di Stato, sezione IV, si è espresso, con sentenza n. 3148 depositata il 21 aprile scorso, in una significativa vicenda che riguarda il Comune di Otranto, in provincia di Lecce. La questione riguarda un imprenditore edile, la locale Soprintendenza al paesaggio e la Regione Puglia. Quest’ultima ha negato, nel giugno 2018, l’approvazione della variante al Piano regolatore del Comune di Otranto per la realizzazione, su aree in parte private e in parte comunale, di strutture alberghiera e commerciale e di un’area espositiva dei reperti archeologici in situ. La zona è infatti tipizzata «archeologica» dal Piano regolatore e sottoposta a vincolo paesaggistico per le aree costiere.
La Regione aveva anche denegato la compatibilità ambientale alla variante nell’aprile 2018. L’imprenditore ha impugnato i provvedimenti al Tar Lecce che gli ha dato ragione sulla base di motivazioni relative alla violazione della legge sul procedimento amministrativo (la n. 241/1990) e della legge regionale pugliese su tutela ed uso del territorio (la n. 56/1980). La Regione si è rivolta al Consiglio di Stato che ha ribaltato la sentenza di primo grado stabilendo che l’ente ha correttamente applicato le norme sul procedimento amministrativo.
Ma l’aspetto più rilevante è quello contestato dall’imprenditore ricorrente secondo cui la Regione non avrebbe tenuto conto dei presupposti di fatto che caratterizzano l’area, «in particolare […] un contesto connotato dalla presenza di una diffusa edificazione e di opere di urbanizzazione primaria e secondaria». Ed avrebbe omesso, la Regione, il riferimento alla circostanza che «di quel contesto urbanizzato edificato faceva parte anche l’edificio di proprietà della ditta ricorrente, di cui fu autorizzata la demolizione […] e la sua sostituzione con un nuovo edifico […], realizzato solo in piccola parte a causa del rinvenimento dei reperti archeologici».
L’edificazione approvata dal Consiglio comunale di Otranto in variante urbanistica costituiva, a dire dell’imprenditore, un intervento di sostituzione e completamento «non implicante consumo di suolo»; intervento concordato anche con la Soprintendenza in parte per indennizzare l’imprenditore e per provvedere alla custodia e manutenzione delle emergenze archeologiche. Come si vede, la formula del «non consumo di suolo» sembra essere ormai diventato un mantra edificatorio. I massimi giudici amministrativi hanno stabilito che lo stato di urbanizzazione di una zona soggetta a vincolo paesaggistico «è irrilevante in quanto la situazione di compromissione o di avanzata edificazione dei luoghi, in ragione della preesistenza di altre realizzazioni, non impedisce, ma, al contrario, impone che nuove opere non deturpino ulteriormente l’ambito territoriale protetto e non consumino ulteriormente il “bene ambiente”».
Inoltre, hanno statuito che la discrezionalità motivata, propria dell’autorità che gestisce il vincolo paesaggistico, ha portato a considerare che la variante proposta «determinasse una saturazione delle aree in questione già oggetto di molteplici edificazioni determinando in tal modo un ulteriore consumo di suolo». Di più, le sopravvenute (rispetto all’accordo del 2015 con la Soprintendenza) norme di tutela del Piano paesaggistico territoriale regionale (Pptr) non potevano far assumere altra decisione alla Regione.
Il Consiglio di Stato, inoltre, ha stabilito che pur se la variante era anche planovolumetrica, doveva rispettare le sopravvenute norme paesaggistiche. E se il Pptr prevede pure la possibilità di edificazione «relativa» nelle aree costiere, vieta il tipo di edificazione proposta. Nella sentenza, poi, viene riportata la statuizione della Corte costituzionale (sentenza n. 276 del 16 gennaio 2020, già da noi commentata) per cui vi è un principio di prevalenza della disciplina paesaggistica su quella urbanistica giacché «l’aspettativa edificatoria dei privati non può dunque essere considerata un elemento idoneo a impedire il pieno esplicarsi della tutela del bene riconosciuto di valore ambientale».
Fabio Modesti