Emerge la necessità di politiche pubbliche che incentivino questo tipo di recupero, in quanto oltre all’effetto positivo del restauro dei singoli manufatti si viene a creare una catena virtuosa di cui può beneficiare l’intera comunità di un territorio
La crisi climatica già in corso, che si manifesta in fenomeni naturali molto più intensi che in passato, non ha un impatto solo sull’ecosistema e sulla sostenibilità della nostra vita, ma anche sul nostro patrimonio culturale. Il cambiamento del clima mette infatti a rischio aree archeologiche, monumenti, città d’arte.
Si rende necessario, pertanto, gestire il patrimonio globale di fronte ai futuri cambiamenti climatici: comprendere i processi e i pericoli geologici e geomorfologici.
Dall’analisi della documentazione pubblicata, sembra che i processi naturali non abbiano sempre ricevuto l’attenzione che meritano, e in alcuni casi sembrano essere stati ignorati. Data la complessità dei futuri cambiamenti climatici e il ruolo che i processi naturali svolgeranno nel determinare la vulnerabilità dei singoli beni del patrimonio, è essenziale che geoscienziati, archeologi e gestori del patrimonio culturale lavorino insieme per sviluppare strategie appropriate per mitigare gli effetti del cambiamento in futuro , soprattutto perché molti dei temi sviluppati in questo documento hanno un’applicabilità generica in una vasta gamma di ambienti paesaggistici.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici sono già evidenti nei disastri ambientali che oggi si registrano con sempre maggiore frequenza ma la loro portata si estende a coinvolgere il nostro sistema sociale e culturale conducendoci a rimettere in discussione la nostra organizzazione sociale e il rapporto storico tra l’uomo e il suo ambiente.
L’invecchiamento dei materiali è un processo irreversibile che interessa tutti i manufatti; proprio per questo motivo negli ultimi anni, in parallelo ad un crescente interesse per la conservazione delle opere d’arte, è andato sviluppandosi un nuovo modo di affrontare il problema con un punto di vista propriamente scientifico, che costituisce un valido supporto alle decisioni da affrontare nelle fasi di restauro e di gestione o manutenzione dei manufatti stessi. La valutazione del rischio per i beni di interesse storico-artistico, richiede una conoscenza approfondita della distribuzione e delle caratteristiche chimico-fisiche del patrimonio culturale presente in un determinato territorio. È infatti possibile individuare le potenziali minacce nei confronti di un aggregato di beni situato in una specifica area, se si conoscono gli elementi strutturali e la composizione dei monumenti considerati. È inoltre fondamentale conoscere contemporaneamente, le caratteristiche geografiche (geologia, idrologia, pendenza) e ambientali del territorio con cui i beni interagiscono. I fattori climatici (temperatura, umidità relativa dell’aria, vento, precipitazioni) e l’inquinamento atmosferico sono i principali responsabili dei principali processi fisici, chimici e biologici che portano al deterioramento dei diversi materiali (pietra, legno, metallo, ecc.) costituenti i beni culturali.
I rischi futuri
Si è cercato di monitorare quali potranno essere in futuro i rischi maggiori a cui sarà esposto il patrimonio per effetto del cambiamento climatico. Le proiezioni indicano tre principali fattori di rischio.
I monumenti calcarei sono generalmente sottoposti a fenomeni di erosione superficiale, biodeterioramento, cristallizzazione dei sali e a cicli di gelo e disgelo che favoriscono fenomeni di disgregazione e decoesione degli elementi componenti il manufatto.
I marmi con cui sono costruiti moltissimi monumenti saranno maggiormente esposti all’erosione e alle conseguenti infiltrazioni dell’acqua piovana dovute alle piogge.
L’aumento della temperatura e dell’escursione termica potranno avere un impatto negativo sulla conservazione del marmo di templi antichi, chiese e monumenti del Mediterraneo. È un fenomeno noto in gergo come «termoclastismo». Fatto di cristalli di calcite, il marmo si espande in maniera non omogenea quando la temperatura aumenta e si contrae quando scende. La differenza di volume tra giorno e notte produce degli stress termici che possono portare a una disgregazione del materiale.
Un’altra minaccia al patrimonio artistico potrà arrivare infine dalla cristallizzazione del sale marino, un effetto che si verifica quando l’umidità relativa oscilla attorno al 75 per cento. Un ciclo dell’acqua con umidità attorno a questi valori percentuali produce processi di cristallizzazione che possono causare efflorescenze sulle superfici e mettere sotto stress i materiali più porosi.
Ad avere un impatto sul patrimonio artistico non sarà tanto il cambiamento della temperatura quanto il cambiamento del ciclo dell’acqua. Quello che cambierà sarà l’intensità delle piogge e dei periodi siccitosi. Questo avrà un impatto sul patrimonio sia per quanto riguarda la frequenza di eventi estremi, come alluvioni e siccità, sia per i cambiamenti più sottili, come l’alterazione dei valori dell’umidità relativa.
Le alluvioni hanno un impatto drammatico per i materiali. Al di là dei danni strutturali, il momento peggiore non è quando un bene finisce sott’acqua ma quando le acque si ritirano e si asciugano. Si rischia di avere un’evaporazione troppo veloce che porta a un degrado irreversibile del legno e dei materiali porosi.
Per affrontare le sfide future diventerà quindi sempre più importante monitorare lo stato di salute di un bene artistico. Una procedura lunga e costosa ma indispensabile per acquisire i dati necessari a stabilire se il degrado di un monumento sia imputabile a cambiamenti strutturali innescati dalla crisi climatica, come le alterazioni del ciclo dell’acqua e della temperatura, o se sia dovuto piuttosto all’inquinamento atmosferico, un problema con il quale si lotta ormai da decenni.
L’arte della prevenzione
Non dobbiamo aspettare che si verifichi un evento disastroso, l’attività di conservazione si fa a monte. Prevenire piuttosto che curare è una delle strategie da adottare. Un ruolo fondamentale per tenere sotto controllo il patrimonio lo giocheranno in futuro soprattutto le nuove tecnologie, già sperimentate da alcuni siti.
L’Italia è capofila e all’avanguardia in questi studi, e sta mettendo in atto una serie di monitoraggi molto validi che usano le immagini da satellite per controllare aree molto ampie. Se ci fossero dei cambiamenti strutturali in un monumento, per esempio dei cedimenti, i satelliti riuscirebbero a intercettarli. Così come si può monitorare se i monumenti cambiano colore.
Sia il Colosseo sia il Parco archeologico di Pompei stanno facendo ricorso a questi strumenti, e rilevazioni simili sono in programma anche per Venezia, dove saranno monitorati più di 90 campanili per verificare se il fenomeno dell’acqua alta produca un danno tale da riflettersi anche nella stabilità delle strutture.
La strategia dell’adattamento
La tutela del patrimonio culturale è stata inserita dall’Italia nella Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il piano di contrasto alla crisi ambientale.
L’Italia non è ferma, ma bisogna accettare che non si potrà salvare tutto, bisognerà individuare delle priorità coinvolgendo le comunità locali e le persone che vivono i luoghi. Per fare delle scelte non solo basate sull’importanza turistica ed economica di un sito culturale, ma fondate anche sul desiderio delle comunità locali di preservare luoghi per loro simbolici e importanti. Molto è stato fatto e molto si può fare.
La valorizzazione e la promozione di un bene culturale, sia esso un edificio, un paesaggio o una tradizione, gli attribuisce il riconoscimento della sua importanza nel sistema di valori di una comunità. Quest’azione, culturale e comunicativa, si inserisce nella rete di simboli che contribuisce alla definizione di un territorio.
Diventa essenziale prima di prendere in considerazione la valorizzazione sottolineare che cosa si intende per patrimonio culturale. Nel D. Lgs del 22 gennaio 2004 n. 42, all’art.1 si chiarisce che «Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici e l’art. 2 chiarisce che sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e 11, presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà».
Sul patrimonio culturale è particolarmente significativa anche la definizione di paesaggio che dà Alberto Predieri: «il paesaggio non significa solamente le “bellezze naturali” o anche quelle che ad opera dell’uomo sono inserite nel territorio, né la sola natura, ma la forma del territorio, o dell’ambiente, creata dalla comunità umana che vi si è insediata, con continua interazione della natura e dell’uomo».
Sempre seguendo la definizione affermata dal codice dei beni culturali la valorizzazione è intesa come «esercizio delle funzioni e delle discipline della attività dirette a promuoverla conoscenza del patrimonio culturale e assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso al fine di promuovere lo sviluppo delle cultura».
Da questo punto è facile intuire che la valorizzazione è fortemente vicina al concetto di tutela e conservazione ma non può esserne sinonimo.
Il concetto di tutela, pur essendo unico, si articola in tre componenti essenziali: conoscenza, tutela e valorizzazione di cui solo la tutela è, e deve restare, competenza esclusiva delle Soprintendenze, le quali sole possono garantirla, al di sopra di ogni altro interesse economico e sociale, come vuole la nostra Costituzione.
Le Università devono affiancare le Soprintendenze per la conoscenza, presupposto essenziale della tutela, e gli enti territoriali devono partecipare alla valorizzazione, che senza conoscenze a tutela non avrebbe senso.
La valorizzazione è da considerare come una serie di azioni che portano a tradurre il bene culturale in narrazione storica capace di arrivare alle grandi masse, con la coscienza che non tutto può essere valorizzato.
I beni culturali costituiscono un tessuto di cultura visibile, che contiene solo in potenza la informazione storica, che per tradursi in atto va esplicitata ai visitatori. Le questioni sono molteplici e riguardano anche la sicurezza alimentare, il rischio sulla salute, la gestione delle risorse naturali, le diseguaglianze di genere, la marginalizzazione sociale ed economica, i conflitti e le migrazioni.
I centri storici minori
L’interesse verso i centri storici minori si può ritenere figlio del grande interesse che si è sviluppato a partire dagli anni Cinquanta intorno al tema della salvaguardia dei centri storici tout court ad opera delle associazioni di tutela, prima fra tutte Italia Nostra che li ha proposti all’attenzione della società civile e della comunità scientifica.
Oggi il tema dei centri storici minori sembra attrarre l’attenzione dei ricercatori, dei tecnici, degli amministratori e della società come accadde negli anni Sessanta e Settanta per i centri delle maggiori città italiane. Economia, politica, turismo, tecnica urbanistica e architettonica sono solo alcuni dei vari settori della società che si stanno interessando, ognuno secondo le proprie competenze, della tutela e valorizzazione di questi ambiti territoriali.
Lo scopo di ognuno, tuttavia, dovrebbe informarsi a un unico obiettivo: salvare la testimonianza portata da un cospicuo patrimonio di edifici, spazi, attività, cultura, storia e identità. Se la sensibilità attuale è rivolta alla tutela e alla conservazione del territorio, non si può non considerare che i borghi adagiati nel paesaggio italiano ne costituiscono una parte caratterizzante, fondamentale e irrinunciabile. L’unitarietà e l’integrità degli spazi, degli edifici, dei materiali di questi luoghi costituiscono valori da tutelare, da valorizzare e da comunicare. In questo senso varie associazioni e numerose iniziative dei singoli territori consentono di mantenere in vita questi nuclei storici, di mantenere attiva la comunità che vi abita e far conoscere al pubblico vasto la bellezza e le potenzialità di questi luoghi, offrendo attività di indubbio interesse che nella vita della maggior parte di noi si sono dimenticati.
I centri storici minori rappresentano un patrimonio storico-architettonico urbanistico da preservare dal degrado e dall’oblio con azioni di rivitalizzazioni che ne evitino lo spopolamento, in atto da molti decenni, e lo stato di definitivo abbandono.
Spesso questi comuni di qualche migliaio di abitanti godono di una certa vitalità, e a seconda dei contesti territoriali (si pensi all’entroterra appenninico) possono costituire delle piccole città che non necessitano così urgentemente di essere salvate.
Verso dove bisogna indirizzare questi sforzi di valorizzazione prima che l’abbandono e il degrado diventino irreversibili? Molto probabilmente in quei nuclei che, penalizzati dallo spostamento dei baricentri produttivi (industrializzazione) e dalla necessità di nuovi stili di vita (urbani), non sono stati in grado di ammodernarsi e, proprio per questo, appaiono oggi ai nostri occhi come dei brani intatti della storia che si sta dimenticando.
I centri storici, che sarebbe meglio definire antichi, hanno risentito pesantemente di questa cesura epocale per la società italiana: dalla metà del novecento in poi hanno iniziato a spopolarsi per motivi economici e demografici, a favore di grandi centri urbani o di quelli minori ma prospicienti le città o grandi vie di comunicazione.
Il rischio della perdita di migliaia di piccoli comuni, frazioni, borghi, che costituiscono il giacimento forse meno celebrato e più nascosto, ma anche il tessuto connettivo della nostra storicità urbanistica, come spesso accade ha fatto crescere la consapevolezza del suo valore.
Le azioni di recupero non possono prescindere dalla conoscenza approfondita del nucleo consistente nell’individuazione e comprensione delle dinamiche demografiche, di crescita economica, dei rapporti topografici col territorio circostante, di sviluppo urbanistico nonché delle tipologie dell’edilizia storica e delle tecniche costruttive locali.
Emerge la necessità di politiche pubbliche che incentivino questo tipo di recupero, in quanto oltre all’effetto positivo del restauro dei singoli manufatti si viene a creare una catena virtuosa di cui può beneficiare l’intera comunità di un territorio.
Francesco Sannicandro, già Dirigente Regione Puglia e Consulente Autorità di Bacino della Puglia
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